I social rubano il potere alla critica vera, acquistandone uno più forte e fallace

L’introduzione di uno dei miei ultimi libri, scritti col collega Michele Olivieri, riporta queste parole: «Una recensione non è un “consiglio per l’acquisto”, neanche “il consiglio di un amico di cui ti fidi”, ma è uno strumento che fornisce le chiavi di accesso al pubblico per entrare nella lingua propria di quel lavoro dalla rappresentazione al lavoro degli artisti, regia, coreografia e tutto ciò che collabora all’evento teatrale che viene esaminato in modo “professionale”. Certamente i contenuti delle recensioni impongono conoscenze di base della storia e dei linguaggi teatrali, conoscenze ampie e abilità flessibili a fondamento del lavoro di critica. Non basta scrivere che un lavoro è “buono” o “cattivo”, anche se è impossibile non farsi influenzare dai propri gusti e il proprio sentire, ma nel momento in cui questo è esplicitato, deve essere distinto dall’analisi».

Questo cappello è fondamentale per introdurre quello che invece sta succedendo oggi. Le recensioni scritte dai professionisti di settore sono sempre meno in quanto sono rare le testate giornalistiche che le richiedono, mentre pullulano recensioni su blog o social network scritte da chiunque. Le opinioni più o meno ben espresse riguardanti gli spettacoli sulla piazza hanno abituato il pubblico, ma ancor di più gli artisti, a commenti spiccioli per lo più “di pancia” che generalmente, fra cuoricini pulsanti e manine che applaudono, esaltano quanto visto senza ovviamente scendere in alcuna analisi del prodotto.

Ebbene tutto ciò non solo è stata la rovina delle recensioni professionali, ma ha abituato attori, registi, ballerini, coreografi e via dicendo a non ricevere più alcuna critica vera e propria che desse loro modo di mettersi in discussione. Sappiamo tutti quanto nei tempi antichi la funzione dei critici fosse tenuta in grande considerazione da chi presentava uno spettacolo, che fosse di musica, lirica, prosa o danza, perché si era certi che se un critico esprimeva un’opinione questa aveva un peso rilevante.

La critica teatrale nel XIX secolo occupava un ruolo importantissimo nella stampa. Le critiche “il giorno dopo” della prima dello spettacolo erano temutissime da attori, registi, musicisti e ballerini. Le pagine dedicate agli spettacoli erano più d’una. Questo fenomeno ha avuto il merito di fare uscire la critica teatrale dai testi dei filosofi e diffuse la cultura teatrale ad una più ampia platea rendendo la critica una voce importante della cultura popolare.

Del resto lo sviluppo storico delle forme culturali evidenzia una stretta connessione tra la critica e la creazione artistica. La critica non è altro che una “saldatura” fertile che consente un passaggio di influenze reciproche. Solo attraverso la critica si possono esaminare e valutare gli uomini nel loro operato e il risultato o i risultati della loro attività per scegliere, selezionare, distinguere il vero dal falso, il certo dal probabile, il bello dal meno bello o dal brutto, il buono dal cattivo o dal meno buono.

Certo non siamo più nel XIX secolo, e neanche più nel XX, ma perché nel 2021 ci si accontenta di quanto viene espresso liberamente e senza alcuna competenza sui social network e non si tengono più da conto le parole di chi ha una professionalità alle spalle per poter esprimere un parere positivo o negativo che sia? È triste dirlo, ma la risposta è una sola: perché è più comodo e rassicurante.

È così rassicurante leggere su Facebook: ”sei splendido!”, “come sei sato bravo!”, “sapessi come mi hai emozionato!”, piuttosto che scoprire tra le righe di una critica che invece qualche appunto sul proprio operato è giusto farlo.

Peccato, perché solo attraverso la critica, soprattutto quella denominata “negativa”, si ha modo di crescere e migliorarsi. Le gif con cuoricini e manine che applaudono sempre e comunque, forse esalteranno al momento, ma sicuramente non stimolano una prestazione migliore la volta seguente, anzi… ho paura che invece incitino a sedere troppo sugli allori.

Demonizzare dunque la figura del critico che non esalta gli spettacoli e gli artisti in questione, a cui ci si permette anche di scrivere che ha sbagliato nel giudicare, significa dimenticare che ognuno ha il proprio ruolo, che come tale (se non temuto) va almeno rispettato.

Francesca Camponero

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