Oggi tutti critici, ma non è così

In un mondo in mano agli opinionisti è importante sottolineare il significato della parola «critica». Lo facciamo partendo dall’etimologia di questo termine. La critica, dal greco κρὶνω (distinguo) è un esame circostanziato di un fatto o di un’opera letteraria, scientifica, teatrale, artistica, in cui vengono valutati gli aspetti contenutistici, estetici e storici.

Tutto questo prevede una grande preparazione da parte del “critico” per poter valutare coscienziosamente e competentemente appunto un’opera letteraria, scientifica, teatrale, artistica. È plausibile che dalla critica non si possa pretendere l’oggettività del giudizio, salvo ad ammettere la sua dichiarata soggettività, ovvero una scelta selettiva quale caposaldo della stessa storiografia. Se, poi si prende in esame quella particolare critica rivolta all’arte, è facile aver conferma della soggettività della critica.

Ma il termine “critica” indica anche il complesso delle indagini volte a conoscere e a valutare, sulla base di teorie e metodologie diverse, i vari elementi che consentono la formulazione di giudizi sulle opere dell’ingegno umano, in particolare, specificando il campo dell’indagine.

Certamente esiste una “saldatura” fertile fra le idee sviluppatesi in un contesto sociale nei riguardi delle attività artistiche e la produzione di tipo intellettuale che viene denominata “critica”, che consente un passaggio di influenze reciproche. Ma sempre ed indiscutibilmente “criticare” comporta prima sapere di che si parla e cosa si va valutando. Ed ecco perché è più che mai valido il consiglio di Doubrovsky per cui «una critica degna di questo nome comincia con l’esser un’autocritica. Deve conoscere i propri postulati per rivendicare le proprie certezze».

E arriviamo al punto: ad oggi quanti sono i critici che criticano con consapevolezza e che prima hanno effettuato un percorso di autocritica? Pochissimi. Soprattutto se si pensa al fiorire di blog che hanno permesso a tutti i tuttologi di esprimere le loro opinioni senza alcuna preparazione comprovata in alcun settore. Chiunque esprime giudizi e pensa di avere un’autorevolezza indiscutibile e inconfutabile. La tuttologia, purtroppo, sembra essere diventato un virus (un altro) sempre più universale e, ahimè, ormai socialmente patologico grazie alla grande rete. E così oggi tutti sono costituzionalisti ed esperti di tattiche politiche, virologi ed epidemiologi, e naturalmente anche critici di teatro, musica, danza…

L’era di oggi ha portato qualunque cialtrone ad avere lo stesso diritto di espressione di chi ha passato una vita a studiare opere letterarie, scientifiche, teatrali, artistiche, a queste si è dedicato per anni e per anni ha cercato di comprenderne il giusto valore tanto da poterne giudicare essenza e contenuti. Anche perché ricordiamo che non è corretto per “critica” sottintendere che in essa si debbano riportare esclusivamente pareri antitetici e negativi. Anzi! La critica deve essere soprattutto un’analisi di quanto si vede, si sente, si legge. Anche se va sottolineato che ha maggior rilevanza la stroncatura di un’opera rispetto a una descrizione elogiativa della stessa.

Ed ecco dunque che chi esprime pareri ha una grande responsabilità verso i lettori e gli artisti che giudica. Peccato che invece nessuno abbia più rispetto per nessuno e per niente se non per il proprio esasperato ego il più delle volte pieno di nulla.

Ho voluto scrivere questo a conforto di una ballerina, cara amica e grande professionista, che è rimasta molto amareggiata dall’aver letto su un blog una ”critica” da parte di una signora che aveva giudicato il suo modo di danzare in un recente spettacolo. Stai serena, carissima, al giorno d’oggi chiunque pensa di essere un esperto aiutato dalla grande rete (sempre più tentacolare e pericolosa). Del resto siamo in un’epoca in cui i talent show di ogni sorta trasformano l’uomo della strada in un divo da un giorno all’altro, ma tu ed io sappiamo che la cultura, quella vera, è ben altra cosa ed allora andiamo avanti. Socrate dinanzi alla giuria che lo condannò ammise di «Non sapere», i tuttologi di oggi giorno gli rispondono: «Noi sappiamo». Cosa? È tutto da capire.

Francesca Camponero

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