Sylfiden
La Silfide

Balletto in due atti

Coreografia Auguste Bournonville
Musica Herman S. Loevenskjold
Prima rappresentazione Copenaghen, Teatro Reale Danese, 28 novembre 1836
Interpreti Lucile Grahn e Auguste Bournonville
Scenografia Christian F. Christensen

Il balletto è ambientato in Scozia. James ama una Silfide che molto spesso gli rende visita e non gli dà pace. Proprio nel giorno delle sue nozze con Effie, James decide di fuggire e parte alla ricerca dello spirito amato. Nella foresta gli amanti si ritrovano. Magda, la strega un giorno scacciata da James e pubblicamente offesa, trova l’occasione per vendicare l’affronto subito. Gli consegna una sciarpa con la quale James potrà catturare la Silfide. Nel momento in cui egli getta il velo sulle spalle dell’amata, per magico potere, le sue ali cadono ed ella muore, spegnendosi fra le braccia di James. Le sorelle-silfidi la portano via volando verso il loro regno soprannaturale.

Cyril W. Baumont nel suo Complete Book of Ballet ci dice che «La Sylphide occupa una posizione unica nella storia del balletto poiché la sua realizzazione segna l’inizio di una nuova era nella coreografia». Infatti, il movimento romantico che ebbe i suoi inizi intorno al 1830, vide perfettamente delineata la sua espressione coreografica appunto con La Silfide. Eppure questa dichiarazione andrebbe meglio precisata e rivolta al plurale perché di Silfide, in realtà, ne esistono due; o meglio, una è La Sylphide e l’altra è è Sylfiden: la prima francese, la seconda danese.

Proprio l’originale, quello scaturito dalla fantasia di Filippo Taglioni (a dire il vero sollecitato dall’amico tenore Adolphe Nourrit) ha avuto vita difficile nella conservazione per la posterità. I francesi, accaniniti nazionalisti, accampano come originale la loro versione (con la firma però dell’italianissimo Filippo Taglioni), mentre i danesi sostengono la primogenitura della versione di Bournonville. In fatto di conservazione del patrimonio tradizionale, però, i danesi sono maestri, poiché sono riusciti a conservare (oltre a Sylfiden) anche il ben più retrodatato balletto Les caprices de Cupidon et du maître de ballet di Vincenzo Galeotti, rappresentato a Copenaghen nel 1786 e che, con La fille mal gardée è il più antico balletto pervenuto quasi intatto fino ai giorni nostri.

Se oggi è La Sylphide danese a imperare nel mondo intero e se, grazie al conservatorismo del teatro di quel paese, riusciamo ad avere la grande lezione di Bournonville (francese in terra di Danimarca, così come Galeotti fu l’italiano del balletto danese), la ricerca storica impone di ricordare la matrice di questo balletto e come si svolsero in sostanza i fatti.

Il tenore Nourrit era molto vicino a Filippo Taglioni. Durante una rappresentazione dell’opera Roberto il Diavolo di Meyerbeer nella quale egli cantava e Maria Taglioni eseguiva il divertissement del padre, si permise di suggerire a Filippo un racconto del 1822 straordinariamente carico di suggestioni romantiche e di possibilità coreografiche. Si trattava di Trilby ou le Lutin d’Argail di Charles Emmanuel Nodier, vissuto a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento. Lo scrittore di Besançon era un presurrealista che percorse, prima di Nerval, il grande cammino del soprannaturale nel Romanticismo. Taglioni si innamorò del soggetto e, un anno dopo, ecco nascere La Sylphide, prima rappresentazione al Théâtre de l’Académie Royale de Musique di Parigi (Opéra, 12 marzo 1832).

Naturalmente, il racconto di Nodier servì a Taglioni solo come fonte di ispirazione. Nel balletto tutta la storia viene rielaborata a partire dal personaggio del protagonista maschile che nel racconto è uno spirito di disturbo nei confronti della moglie di un pescatore mentre nel balletto, come abbiamo visto, lo spirito è femminile. Di uguale vi è solo la terra scozzese, ove si svolge il fatto, e la posa dello spirito nell’atteggiamento di instillare nell’orecchio del giovane parole amorose. Per il resto il canovaccio si discosta completamente dall’originale.

Preparato per il marzo 1832, il balletto si diede soltanto nel maggio e nel luglio a Londra, al Covent Garden, con la stessa Maria Taglioni, il fratello Paolo (James), la moglie di questi, Amalia Galster Taglioni (Effie) e un danzatore nei panni della strega, il Laporte, direttore del teatro. A Pietroburgo arrivò nel settembre 1837, con la Taglioni, che proprio con questo balletto fece il suo furoreggiante esordio di fronte al pubblico russo. A Venezia apparve al Teatro La Fenice nella stagione 1837-38, ma nella versione di Antonio Cortesi con l’interpretazione di Amalia Brugnoli Samengo. A Torino si diede, nella stessa versione, nel 1839 a Teatro Regio, protagonista Luigia Groll. Alla Scala apparve il 29 maggio 1841 e a Roma (Teatro Apollo) solo nel 1846 con la Taglione, a fine carriera, sofferente del suo male al ginocchio.

Il già citato Beaumont riferisce che il balletto ebbe a suo tempo «grande voga», venne più volte rappresentato e ripreso nelle principali capitali europee, talvolta in nuove versioni composte da altri maître de ballet, come il Cortesi. Nacque anche una vera e propria moda Sylphide-Taglioni nell’abito e nell’acconciatura (con l’ampia gonna di mussola e i celebri bandeaux) e sulla sua scia proliferarono numerose imitatrici. Nacquero altri balletti che ne riprendevano l’elemento tematico (primo fra tutti Giselle, che peraltro supera il modello originale). Negli Stati Uniti, La Sylphide fu rappresentata la prima volta il 15 aprle 1835 con M.lle Céleste. La danzarono successivamente Augusta Maywood (1838), Amélie Galster (cognata della Taglioni, 1839), Fanny Eissler (1840).

Prima di passare alla versione danese, occorre cercare di rintracciare il filo che ci porta alle edizioni di questa prima Silfide nel Ventesimo secolo. Viktor Gsovsky riuscì nel 1946 a ricuperare, sulla traccia della partitura di Schneitzhoeffer, i legami che lo potevano portare a una ricostruzione forse più ideale che autenticamente precisa. Ne allestì una versione per i Ballets des Champs-Elysées nell’omonimo teatro il 15 giugno dello stesso anno: interpreti Nina Vybourova e Roland Petit (scene di Sebriakoff e costumi di Bérard). Lo spettacolo fu portato a Londra il 4 giugno 1947.

Il 1° gennaio 1972, Pierre Lacotte ha presentato alla televisione francese una sua nuova edizione. In quell’occasione, i giornali parlarono di risurrezione piuttosto che di riesumazione. Sembra infatti che Lacotte abbia trovato all’Opéra dei documenti originali e preziosi, tali da consentirgli di ricostruire la lezione di Taglioni. Nonostante il balletto originale del coreografo italiano sia stato recuperato, grazie al lavoro del Beaumont e del Guest, alla disponibilità dei programmi e delle musiche originali, nel corso degli anni si è optato per considerare la versione di Taglioni “perduta”, puntando tutto sull’opera di Bournonville.

Lo spettacolo di Lacotte dagli studi televisivi è passato al palcoscenico dell’Opéra con svariati interpreti in alternativa: fra essi, Jacqueline Rayet, Noëlla Pontois, Ghislaine Thesmar nel ruolo della Silfide e Cyril Atanassoff, Attilio Labis, Georges Piletta e Michaël Denard in quello di James. Lo stesso Lacotte presentò la sua versione al Teatro dell’Opera di Roma con G. Thesmar e Raffaele Paganini, nel gennaio 1984.

La Sylphide di Bournonville

Bournonville vide La Sylphide di Taglioni a Parigi nel 1834. Se ne invaghì e pensò di realizzarla con una propria coreografia per l’allieva prediletta Lucile Gahn (egli stesso interpretò James). Volle però cambiare la musica che affidò al connazionale Hermann Severin von Loevenskjol. La prima rappresentazione ebbe luogo all’Opera Reale di Copenhagen il 28 novembre 1836 e da allora il balletto non è mai uscito dal repertorio del Kogelige Danske Ballet (mentre l’ultima ripresa all’Opéra dell’edizione francese avvenne il 24 settembre 1860).

Harald Lander, nel Novecento, rivisitò il balletto mentre Hans Brenaa ha il compito di allestirlo ogni volta che ne viene fatta richiesta. Il balletto venne così realizzato per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas nel 1953, interpreti Rossella Hightower e Serge Golovine (Parigi, Théâtre de l’Empire), al Teatro alla Scala di Milano nel gennaio 1962 con Carla Fracci e Mario Pistoni; per il Nederlands Nationaal Ballet Theatre (1964-65), interprete a più riprese Carla Fracci, cui il personaggio della Silfide parve congeniale fin dall’esordio.

Un’altra edizione memorabile è quella della danzatrice e coreografa svedese Marianne von Rosen che si avvalse dell’aiuto di Ellen Price de Plane, riconosciuta autorità in Danimarca per tutto ciò che attiene allo stile di Bournonville. La Rosen lo allestì per il Ballet Rambert al Sadler’s Wells Theatre di Londra il 20 luglio 1960 con lei stessa protagonista accanto a Flemming Flindt, quindi ripropose la stessa versione per il Ballet de l’Opéra di Montecarlo diretto da Marika Besobrasova in una tournée che toccò anche l’Italia (aprile 1968 al Teatro Comunale di Bologna). In quell’occasione la Rosen interpretò il ruolo della maga, mentre protagonisti principali furono Carla Fracci e Rudolf Nureyev.

Eric Bruhn, dopo essere stato a lungo interprete (anche in Italia sul palcoscenico del Teatro Comunale di Firenze per il Maggio Musicale del 1962, nella parte di James, accanto a Margrete Schanne), è divenuto il più attendibile riproduttore dello stile bournonvilliano. Nel 1991 La Sylphide è stata riprodotta da Mats Skoog per il Teatro dell’Opera di Roma; alla prima, 26 marzo, protagonisti erano Peter Schaufuss e Susan Hogard.

Alla base di questi revivals c’è sostanzialmente la qualità della tradizione didattica danese. Bournonville, nato a Copenhagen, era figlio di Antoine (che era stato discepolo di Noverre) e allievo di suo padre oltre che di Galeotti (studiò anche con Gardel e Vestris). Se ne può facilmente dedurre che l’insegnamento ricevuto da Bournonville è una derivante della Scuola francese e di quella italiana. Bournonville si discostò dalla prima come dalla seconda e con fisionomia peculiare e perentoria, quasi assoluta: la precisione e la rifinitura di ogni passo, di ogni figura, di ogni posizione, di ogni movimento, caratteristiche che descrisse e puntualizzò negli Études chorégrafiques. Una estrema pulizia a discapito forse del brillio tecnico, del virtuosismo scoppiettante, della vivacità espressiva. Tale levigatezza di disegno, un simile livellamento della tecnica è appunto ciò che occorre pricipalmente in un lavoro come Sylfiden.

Prototipo del balletto romantico, più lunare che solare, più incline alla malinconia che ai raggi della gioia, punteggiato più di adagi che di allegri, l’azione si sviluppa in fase alterna su due piani: il terrestre e l’aereo. Ci troviamo in pieno clima di amori intangibili, irraggiungibili, quindi impossibili, eterno dramma del Romanticismo-

Nella creazione di questo balletto interagirono due elementi caratteristici: l’invenzione, da parte di Lami, del tutù romantico, trasparente e vaporoso per conferire a quei personaggi la richiesta immaterialità (e si andava creando uno stile, quello del ballet blanc che perdura fino ai giorni nostri che ebbe la sua ultima propaggine con Les Sylphides di Fokine all’inizio del Ventesimo secolo) e lo stile cosiddetto volante apportato da Didelot, vent’anni prima, con Flore et Zéphire, per il sistema delle funi con il quale le ballerine venivano sollevate nello spazio scenico.

Per apprezzare questo balletto, lo spettatore deve lasciarsi cogliere dalle finezze abbondantemente disseminate nel corso dell’azione danzata. Non ci sono virtuosismi strepitosi o esibizionismi trascendentali, ma una punteggiatura costante di “bella danza” e di “nobili modi”. Solo la rustica giga o reel del primo atto, per i festeggiamenti delle nozze imminenti, potrebbe rompere questo incanto che, ininterrotto nell’atto secondo, aleggia sulla storia patetica e ne suggella in modo definitivo la sua più nascosta sostanza.


A cura di Alberto Soave


Fonti:

  • Alberto Testa, I Grandi Balletti, Repertorio di Quattro Secoli del Teatro di Danza, Gremese Editore, Roma 1991

 

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