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  home ----> arti ----> letteratura ----> romeo e giulietta

ROMEO E GIULIETTA
William Shakespeare
Secondo atto

Entra il CORO

CORO - Ormai la vecchia fiamma di Romeo
è sul letto di morte, e un nuovo amore
aspira a coglierne la successione.
La bella per la quale trepidava,
e dichiarava di voler morire,
confrontata alla tenera Giulietta
più non appare bella agli occhi suoi.
Ora Romeo ama ed è riamato:
stregati, l'uno e l'altra, dall'incanto
dei loro sguardi, ch'altro egli non può
se non che sospirare da lontano
per colei ch'è supposta sua nemica;
e lei rubar la dolce esca d'amore
dalle punte di paurosi ami.
Egli essendo tenuto per nemico,
non può assolutamente avvicinarla
per sospirarle i voti che gli amanti
si sogliono scambiare.
Ed ella, al par di lui innamorata,
assai meno di lui ha mezzi e modo
d'incontrarsi col suo giovane amante
in qualche luogo. Ma la lor passione
presta loro la forza, il tempo e i mezzi
per potersi comunque avvicinare,
e stemperare con dolcezze estreme
l'estreme loro pene.

(Esce il Coro)

SCENA I - Verona, sentiero lungo il muro che cinge
l'orto dei Capuleti. Notte

Entra ROMEO correndo; all'improvviso si ferma.

ROMEO - Come posso procedere più innanzi,
se il mio cuore è là dentro?...
Su, tornatene indietro, terra inerte,
e riprendi il tuo centro!

(S'arrampica sul muro, lo scala e salta al di là, nell'orto dei Capuleti)

Entrano BENVOLIO e MERCUZIO

BENVOLIO - (Chiamando)
Olà, Romeo, cugino, dove sei?

MERCUZIO - È furbo, quello; è ritornato a casa,
e s'è schiaffato a letto, credi a me.

BENVOLIO - Macché, l'ho visto correre di qua
e scavalcare il muro di quest'orto.
Dagli voce anche tu, mio buon Mercuzio.

MERCUZIO - Anzi, lo evocherò come uno spirito.

(Come facendo il negromante)
Romeo!... Capricciosone!... Testa pazza!...
Passione! Innamorato!... Fatti vivo,
almeno sotto forma d'un sospiro.
Rispondi solo con due versi in rima,
o grida solo "Ahimè!",
sussurra solo "bella"... o "colombella",
rivolgi una gentile paroletta
all'indirizzo di comare Venere,
chiama con un qualunque soprannome
il suo figlio bendato,
magari chiamalo "Cupido-Adamo",
che scoccò così bene la sua freccia
per far innamorare il re Cofétua
della mendica verginella... Bah!...
Non sente, non risponde, non si muove...
La scimmia è morta, ed io debbo evocarla:
pei fulgidi occhi della Rosalina,
per la sua bella fronte alta e spaziosa,
per le sue labbra rosso-porporine,
per il suo bel piedino,
per le sue snelle, ben tornite gambe,
per le sue chiappe, che son tutte un fremito,

con i loro mirabili dintorni,
ti scongiuro, Romeo, di comparire
innanzi a noi nel tuo vero sembiante.

BENVOLIO - Se t'ha udito, l'hai fatto andar in bestia.

MERCUZIO - Non è questo che può mandarlo in bestia.
Ci andrebbe, invece, se con gli scongiuri,
facessi comparire un qualche spirito
da non so qual bizzarra provenienza
nel cerchio magico della sua bella,
e lo lasciassi là, ritto impalato,
fintanto ch'ella non fosse riuscita
a sua volta, coi debiti scongiuri,
a piegarlo e forzarlo a ritirarsi.
Questo sì lo farebbe indispettire.
Ma adesso, questa mia invocazione
è leale ed onestamente intesa:
lo scongiuro perché si faccia vivo
in nome della sua innamorata.

BENVOLIO - Dev'essersi nascosto tra quegli alberi
per intonarsi con l'umida notte.
L'amore è cieco, e il buio gli si addice.

MERCUZIO - Se è cieco, non può cogliere la mira.
Starà invece seduto sotto un nespolo
ad augurarsi che la sua ragazza
sia magari quel genere di frutto
che le fanciulle, quando voglion ridere
chiamano appunto nespolo. Oh, Romeo,
se davvero ella fosse... s'ella fosse
una... eccetera... aperta, e tu una pera
di Poperin!... Buona notte, Romeo:
io vado alla mia branda: questo prato
è un letto troppo freddo per dormirci.
Benvolio, ce ne andiamo?

BENVOLIO - Andiamo, andiamo. Tanto è tutto inutile
andare alla ricerca di qualcuno
che ha deciso di non farsi trovare.

(Escono)

SCENA II - Verona, il verziere dei Capuleti

Entra ROMEO

ROMEO - Si ride delle cicatrici altrui
chi non ebbe a soffrir giammai ferita...

GIULIETTA appare a una finestra

Oh, quale luce vedo sprigionarsi
lassù, dal vano di quella finestra?
È l'oriente, lassù, e Giulietta è il sole!
Sorgi, bel sole, e l'invidiosa luna
già pallida di rabbia ed ammalata
uccidi, perché tu, che sei sua ancella,
sei di gran lunga di lei più splendente.
Non restare sua ancella, se invidiosa
essa è di te; la verginal sua veste
s'è fatta ormai d'un color verde scialbo
e non l'indossano altre che le sciocche.
Gettala via!... Oh, sì, è la mia donna,
l'amore mio. Ah, s'ella lo sapesse!
Ella mi parla, senza dir parola.
Come mai?... È il suo occhio
che mi discorre, ed io risponderò.
Oh, ma che sto dicendo... Presuntuoso
ch'io sono! Non è a me, ch'ella discorre.
Due luminose stelle,
tra le più fulgide del firmamento
avendo da sbrigar qualcosa altrove,
si son partite dalle loro sfere
e han pregato i suoi occhi di brillarvi
fino al loro ritorno... E se quegli occhi
fossero invece al posto delle stelle,
e quelle stelle infisse alla sua fronte?
Allora sì, la luce del suo viso
farebbe impallidire quelle stelle,
come il sole la luce d'una lampada;
e tanto brillerebbero i suoi occhi
su pei campi del cielo, che gli uccelli
si metterebbero tutti a cantare
credendo fosse finita la notte.
Guarda com'ella poggia la sua gota
a quella mano... Un guanto vorrei essere,
su quella mano, e toccar quella guancia!

GIULIETTA - (Come avesse sentito un rumore, o forse assorta in tristi pensieri, sospirando)
Ahimè!...

ROMEO - (Tra sé)
Dice qualcosa... Parla ancora,
angelo luminoso, sei sì bella,
e da lassù tu spandi sul mio capo
tanta luce stanotte
quanta più non potrebbe riversare
sulle pupille volte verso il cielo
degli sguardi stupiti di mortali
un alato celeste messaggero
che, cavalcando sopra pigre nuvole,
veleggiasse per l'infinito azzurro!

GIULIETTA - Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo?
Ah, rinnega tuo padre!...
Ricusa il tuo casato!...
O, se proprio non vuoi, giurami amore,
ed io non sarò più una Capuleti!

ROMEO - (Sempre tra sé)
Che faccio, resto zitto ad ascoltarla,
oppure le rispondo?...

GIULIETTA - Il tuo nome soltanto m'è nemico;
ma tu saresti tu, sempre Romeo
per me, quand'anche non fosti un Montecchi.
Che è infatti Montecchi?...
Non è una mano, né un piede, né un braccio,
né una faccia, né nessun'altra parte
che possa dirsi appartenere a un uomo.
Ah, perché tu non porti un altro nome!
Ma poi, che cos'è un nome?...
Forse che quella che chiamiamo rosa
cesserebbe d'avere il suo profumo
se la chiamassimo con altro nome?
Così s'anche Romeo
non si dovesse più chiamar Romeo,
chi può dire che non conserverebbe
la cara perfezione ch'è la sua?
Rinuncia dunque, Romeo, al tuo nome,
che non è parte della tua persona,
e in cambio prenditi tutta la mia.

ROMEO - (Forte)
Io ti prendo in parola!
D'ora in avanti tu chiamami "Amore",
ed io sarò per te non più Romeo,
perché m'avrai così ribattezzato.

GIULIETTA - Oh, qual uomo sei tu,
che protetto dal buio della notte,
vieni a inciampar così sui miei pensieri?

ROMEO - Dirtelo con un nome,
non saprei; il mio nome, cara santa,
è odioso a me perché è nemico a te.
Lo straccerei, se lo portassi scritto.

GIULIETTA - L'orecchio mio non ha bevuto ancora
cento parole dalla voce tua,
che ne conosco il suono:
non sei Romeo tu, ed un Montecchi?

ROMEO - No, nessuno dei due, bella fanciulla,
se nessuno dei due è a te gradito.

GIULIETTA - Ma come hai fatto a penetrar qui dentro?
Dimmi come, e perché. Erti e scoscesi
sono i muri dell'orto da scalare,
e se alcuno dei miei ti sorprendesse,
sapendo chi sei, t'ucciderebbe.

ROMEO - Ho scavalcato il muro
sovra l'ali leggere dell'amore;
amor non teme ostacoli di pietra,
e tutto quello che amore può fare
trova sempre l'ardire di tentare.
Perciò i parenti tuoi
non rappresentano per me un ostacolo.

GIULIETTA - Ma se ti trovan qui, ti uccideranno!

ROMEO - Ahimè, c'è più pericolo per me
negli occhi tuoi che in cento loro spade:
basta che tu mi guardi con dolcezza,
perch'io mi senta come corazzato
contro l'odio di tutti i tuoi parenti.

GIULIETTA - Io non vorrei però per nulla al mondo
che alcun di loro ti trovasse qui.

ROMEO - La notte mi nasconde col suo manto
alla lor vista; ma se tu non m'ami,
che mi trovino pure e che mi prendano:
assai meglio è per me finir la vita
desiderando invano l'amor tuo.

GIULIETTA - Come hai fatto a venire fino qui?
Chi t'ha guidato?

ROMEO - Amore per il primo
ha guidato i miei passi. È stato lui
a prestarmi consiglio nel trovarlo;
io gli ho prestato in cambio solo gli occhi.
Io non sono un nocchiero,
ma se tu fossi lontana da qui
quanto la più deserta delle spiagge
bagnata dall'oceano più remoto,
io correrei qualsiasi avventura
per cercar sì preziosa mercanzia.

GIULIETTA - Sai che la notte copre la mia faccia
della sua nera maschera,
l'avresti vista arrossare, se no,
per ciò che m'hai sentito dir poc'anzi.
Ah, vorrei tanto mantener la forma,
rinnegar quel che ho detto!...
Ma addio ormai inutili riguardi!
Tu m'ami?... So che mi rispondi "Sì",
ed io ti prenderò sulla parola;
ma non giurare, no, perché se giuri,
potresti poi dimostrarti spergiuro.
Agli spergiuri degli amanti - dicono - ride anche Giove. O gentile Romeo,
se m'ami, dimmelo con lealtà;
se credi ch'io mi sia lasciata vincere
troppo presto, farò lo sguardo truce
e, incattivita, ti respingerò,
perché tu sia costretto a supplicarmi...
Ma no, non lo farei, per nulla al mondo!...
In verità, leggiadro mio Montecchi,
io di te sono tanto innamorata,
da farti pur giudicar leggerezza
il mio comportamento; però credimi,
mio gentil cavaliere, che, alla prova,
io saprò dimostrarmi più fedele
di quelle che di me sono più esperte
nell'arte di apparire più ritrose.
E più ritrosa - devo confessarlo - sarei stata, se tu, subitamente,
prima ch'io stessa me ne fossi accorta,
non m'avessi sorpresa
a confessar l'ardente mia passione
a me stessa. Perdonami perciò,
e non voler chiamare leggerezza
la mia condiscendenza,
come t'avrà potuto suggerire
il buio della notte.

ROMEO - Mia signora,
per questa sacra luna che inargenta
le cime di questi alberi, ti giuro...

GIULIETTA - Ah, Romeo, non giurare sulla luna,
questa incostante che muta di faccia
ogni mese nel suo rotondo andare,
ché l'amor tuo potrebbe al par di lei
dimostrarsi volubile e mutevole.

ROMEO - Su che vuoi tu ch'io giuri?

GIULIETTA - Non giurare;
o, se ti piace, giura su te stesso,
su codesta graziosa tua persona,
l'idolo della mia venerazione,
e tanto basterà perch'io ti creda.

ROMEO - Se l'amor del mio cuore...

GIULIETTA - Non giurare,
ho detto: benché tu sia la mia gioia,
gioia non mi riesce di trovare
nell'impegno scambiatoci stanotte:
troppo improvviso, troppo irriflessivo,
rapido, come il fulmine, che passa
prima che uno possa dir "Lampeggia!".
Buona notte, dolcezza.
Questo bocciolo d'amore, schiudendosi
all'alito fecondo dell'estate,
potrà, al nostro prossimo incontrarci,
dimostrarsi un bel fiore profumato.
Buona notte. La pace ed il riposo
discendano soavi sul tuo cuore,
come soave è tutto nel mio petto.

ROMEO - Oh, vuoi lasciarmi così insoddisfatto?

GIULIETTA - Insoddisfatto? E qual soddisfazione
pensavi tu d'aver da me stasera?

ROMEO - Sentirmi ricambiar dalla tua bocca
il mio voto d'amore.

GIULIETTA - Te l'ho dato,
ancor prima che tu me lo chiedessi;
se pur vorrei che fosse ancor da dare.

ROMEO - Vorresti ritirarlo? E perché, amore?

GIULIETTA - Per potermi mostrare generosa,
e dartelo di nuovo, a piene mani.
Io non desidero che quel che ho.
La mia voglia di dare è come il mare,
sconfinata, e profondo come il mare
è l'amor mio: più ne concedo a te,
più ne possiedo io stessa,
perché infiniti sono l'una e l'altro.

(La voce della Nutrice dall'interno, che chiama: "Giulietta!")

Sento voci da dentro casa... Addio,
addio, mio caro amore!... Vengo, balia!...
Dolce Montecchi, restami fedele.
Aspetta ancora un po', ritorno subito.

(Si ritira)

ROMEO - O notte, notte di benedizioni!
Un sogno, temo, nient'altro che un sogno
è questo: troppo dolce e lusinghiero
per essere realtà!

GIULIETTA riappare improvvisamente in alto

GIULIETTA - Ancora tre parole, Romeo caro,
e poi la buonanotte, per davvero.
Se onesto è l'amoroso tuo proposito
e l'intenzione tua è di sposarmi,
mandami a dir domani, per qualcuno
ch'io manderò da te, il luogo e l'ora
in cui vuoi celebrare il sacro rito
ed io son pronta a mettere ai tuoi piedi,
tutti i miei beni, ed a seguire te
sempre e dovunque, come mio signore...

NUTRICE - (Da dentro)
Madamigella!

GIULIETTA - Vengo, vengo subito!
(A Romeo)
... ma se diversa è l'intenzione tua,
ti scongiuro...

NUTRICE - (Da dentro)
Giulietta!

GIULIETTA - Sto venendo!
... smetti di corteggiarmi ed abbandonami
al mio dolore. Manderò domani...

ROMEO - Così possa salvarsi la mia anima...

GIULIETTA - Ancora buona notte, mille volte!

(Si ritira)

ROMEO - Mala notte, puoi dire, mille volte,
se mi viene a mancare la tua luce!
L'amore corre ad incontrar l'amore
con la gioia con cui gli scolaretti
fuggon dai loro libri; ma l'amore
che deve separarsi dall'amore
ha il volto triste degli scolaretti
quando tornano a scuola...

(Si trae indietro lentamente)

GIULIETTA appare di nuovo alla finestra

GIULIETTA - Pssst! Romeo!...
Oh, avere il sibilo d'un falconiere
per poter richiamar questo terzuolo!
Ma la clausura è roca,
ha voce fioca e non può parlar alto;
altrimenti vorrei gridar sì forte
da squarciar l'antro ove riposa Eco
e soverchiare l'aerea sua voce,
sì da farla più fioca della mia,
a forza di chiamar: "Romeo! Romeo!"

ROMEO - (Tornando indietro)
È la stessa mia anima che invoca
così il nome mio.
Come soavi suonan nella notte
le voci degli amanti:
sommessa musicalità d'argento
dolcissima all'orecchio che l'ascolta...

GIULIETTA - Romeo!

ROMEO - Cara...

GIULIETTA - A che ora domattina
posso mandar da te?

ROMEO - Verso le nove.

GIULIETTA - Non mancherò. Mi parranno vent'anni
fino allora... Perché t'ho richiamato?...
Che sciocca! Non me lo ricordo più!

ROMEO - Lascia allora ch'io resti qui con te
fino a tanto che ti ritorni in mente.

GIULIETTA - E così io, per farti rimanere
ancora un poco, tornerò a scordarmelo,
ricordandomi solo di una cosa:
quanto m'è dolce la tua compagnia.

ROMEO - E io ci resterò, perché dimentica
tu resti ancora, dimentico io stesso
d'aver altra dimora fuor che questa.

GIULIETTA - Ormai è quasi l'alba;
vorrei che tu già fossi via da qui,
non più lungi però dell'uccellino
che la bimbetta lascia saltellare
lontan dalla sua mano,
ma lo tiene legato alla catena
come suo prigioniero, e, in una stratta,
d'un fil di seta lo riporta a sé,
simile ad una amante
gelosa di quel po' di libertà.

ROMEO - Quel prigioniero vorrei esser io.

GIULIETTA - E così vorrei io, dolcezza mia,
anche se finirei col soffocarti
per le troppe carezze... Buona notte!
Separarci è un dolore così dolce
che non mi stancherei, amore mio,
di dirti "buona notte" fino a giorno.

(Si ritira)

ROMEO - Siano dimora al sonno gli occhi tuoi,
alla pace il tuo cuore. Sonno e pace
vorrei essere io, pel tuo riposo.
Ora da qui raggiungerò la cella
del mio fidato padre confessore
a domandargli la sua assistenza
e confidargli questa mia fortuna.

(Esce)

SCENA III - La cella di Frate Lorenzo

Entra FRATE LORENZO con un paniere

FRATE LORENZO - Sull'accigliata fronte della notte
ride già l'alba, col suo grigio sguardo
variegando le nubi dell'oriente
con variopinte lamine di luce,
e la chiazzata tenebra si sfiocca
col suo passo ubriaco, vacillando,
sul sentiero del giorno che s'avanza
sulle infuocate ruote di Titano.
Prima che il sole, col fulgente cocchio
si faccia avanti a rallegrare il giorno
e seccar la rugiada della notte,
dovrò riempire d'erbe velenose
e fiori dall'umore portentoso
questo cesto. Di tutta la natura
la terra è madre ed anche sepoltura;
e noi vediamo, da quel grembo usciti,
rampolli d'ogni specie sugger vita
dal suo seno materno: molti eccelsi
per diverse virtù, nessuno privo,
anche se l'uno è dall'altro diverso.
Oh, grande e varia è l'interna virtù
dell'erbe, delle piante e delle pietre,
nelle lor naturali qualità,
e niente è così vile sulla terra
da non rendere ad essa, in contraccambio,
qualche particolare beneficio;
così come non v'è cosa sì docile
che, distratta dal natural suo impiego,

non dirazzi dalla sua vera origine
e si corrompa, e degradi in abuso.
La virtù stessa si converte in vizio,
ed il vizio talora si nobilita
col compimento d'una bella azione.
Nell'esile epitelio che riveste
la corolla di questo fragil fiore
stanno insieme un umore velenoso
ed una proprietà medicinale:
a odorarlo, t'inebria; ad ingerirlo
t'uccide, con il cuore, tutti i sensi.
Due sovrani di questo stesso tipo,
tra lor nemici, son sempre accampati,
così come nell'erbe, anche nell'uomo:
la Grazia, e la brutale Volontà.
La pianta in cui predomina il peggiore
di questi due potenti, è divorata
assai presto dal cancro della morte.

Entra ROMEO

ROMEO - Buondì, Frate Lorenzo!

FRATE LORENZO - Benedicite!
Qual voce mattutina mi saluta
così dolce?... Figliolo, se al tuo letto
dici buongiorno così di buon'ora,
devi avere qualcosa per il capo.
Gli affanni son di solito di guardia
alla porta degli occhi degli anziani,
e dove sono di vigilia loro
è difficile che s'avvicini il sonno;
ma là dove distende le sue membra
l'intatta gioventù, sgombra di mente,
regnano normalmente sogni d'oro.
Perciò la tua comparsa di buon'ora
mi dice che t'ha tratto giù dal letto
un qualche affanno; e se così non è,
allora ci vuol poco a indovinare:
Romeo stanotte non è andato a letto.

ROMEO - Quest'ultima supposizione è vera;
ma il mio riposo è stato dei più dolci.

FRATE LORENZO - Dio perdoni il peccato!... Rosalina?

ROMEO - Con Rosalina, padre santo? No.
Quel nome, con le sue pene d'amore,
io l'ho scordato.

FRATE LORENZO - Bravo il mio figliolo!
E allora, dove diamine sei stato?

ROMEO - Senza aspettar che una seconda volta
tu me lo chieda, te lo dico subito:
stanotte sono stato ad una festa,
in casa d'un nemico, e là, d'un tratto,
qualcuno m'ha ferito,
che ferito è rimasto anche da me.
Per tutti e due ora il rimedio
è soltanto riposto, Fra' Lorenzo,
in te e nella tua santa medicina.
Io non serbo rancori, padre santo,
perché, vedi, con questa mia preghiera
intercedo altresì pel mio nemico.

FRATE LORENZO - Sii più chiaro, figliolo, e vieni al punto.
Confessione che parla per enigmi,
non può ottenere chiara assoluzione.

ROMEO - Allora, in chiaro, sappi che il mio cuore
ha riposto l'amore suo più tenero
nella figlia del ricco Capuleto;
e come il mio in lei è il suo in me;
e tutto è combinato tra noi due,
manca soltanto quanto spetta a te
nell'unirci in un santo matrimonio.
Quando, e dove, ed in quali circostanze
noi ci siamo incontrati e dichiarati,
e ci siamo scambiati i nostri voti,
te lo dirò più tardi; ora mi preme
d'ottener subito da te una cosa:
che tu acconsenta a sposarci oggi stesso.

FRATE LORENZO - San Francesco! Che voltafaccia è questo?
E Rosalina, l'hai bell'e scordata?
Sembrava che per lei volessi struggerti.
Com'è vero che non nel cuore ha sede
l'amor dei giovani, ma sol negli occhi!
Gesummaria, che mare d'acqua salsa
ha bagnato le pallide tue guance
per Rosalina! Quanta salamoia
sprecata a saporire una passione
che non devi nemmeno più assaggiare!
Ancora non ha dissipato il sole
nell'aria l'alito dei tuoi sospiri;
ancor risuonano i tuoi vecchi gemiti
dentro le stagionate orecchie mie...
Guarda, qui sulla gota t'è rimasta
la traccia d'un'antica lagrimuccia

che non s'è ancora asciugata del tutto:
se tu eri te stesso, e quelle pene
erano tue, tu stesso e quelle pene
eravate per Rosalina. E adesso?
Tutto cambiato?... Allora veramente
puoi ripeter con me quel certo adagio:
"Possono ben cader le donne in fallo,
"se nell'uomo è sì debole il cervello".

ROMEO - Tu, pel fatto che amassi Rosalina
m'hai spesso biasimato, tuttavia.

FRATE LORENZO - Perché ti conducevi come un folle,
figliolo, ma non già perché l'amassi.

ROMEO - ... e m'hai anche esortato a seppellirlo,
quell'amore...

FRATE LORENZO - Ma non dentro una fossa
dove calarne uno e trarne un altro.

ROMEO - Ti prego, adesso, non mi redarguire:
quella che amo adesso mi ricambia
grazia per grazia, amore per amore.
L'altra non lo faceva.

FRATE LORENZO - Oh, quella ben sapeva che il tuo amore
non compitava, leggeva a memoria.
Ma andiamo pure, vagheggino, andiamo,
seguimi. C'è comunque una ragione
per la quale m'induco ad aiutarti:
ed è il pensiero che codesta unione
possa riuscire sì provvidenziale
da convertire in affetto sincero
la bile delle due vostre famiglie.

ROMEO - E dunque andiamo, ch'io sto sulle spine!

FRATE LORENZO - Prudenza e calma! Chi va troppo in fretta
finisce poi con l'inciampare e cade.

(Escono)

SCENA IV- Verona, una strada

Entrano BENVOLIO e MERCUZIO

MERCUZIO - Dove diavolo si sarà cacciato
questo Romeo? È rientrato stanotte?

BENVOLIO - A casa di suo padre no di certo.
Ho parlato con uno dei suoi servi.

MERCUZIO - Eh, quella zitellona palliduccia,
dal cuore secco, quella Rosalina
gli dà tali tormenti che il meschino
perderà certamente la ragione.

BENVOLIO - Il nipote del vecchio Capuleto,
Tebaldo, so che ha mandato una lettera
a casa di suo padre.

MERCUZIO - Un cartello di sfida, ci scommetto.

BENVOLIO - Romeo saprà rispondergli a dovere.

MERCUZIO - Chiunque sa rispondere a una lettera:
basta che sappia scrivere.

BENVOLIO - Rispondergli, intendo, per le rime:
voglio intendere sfida contro sfida.

MERCUZIO - Ah, povero Romeo! Morto com'è,
trafitto il cuore da nera pupilla
di candida fanciulla, rintronato
ambo gli orecchi da canzon d'amore,
spaccato il cuore in due da una quadrella
dell'arciere bendato... È questo l'uomo
che dovrebbe scontrarsi con Tebaldo?

BENVOLIO - Evvia, che sarà mai questo Tebaldo!

MERCUZIO - Qualcosa più del principe dei gatti,
te l'assicuro. Oh, egli è il coraggioso
gran capitano dei salamelecchi.
Si batte come tu canti un corale,
con contrappunto: tiene il tempo, il ritmo,
la misura, le pause: e uno, e due,
ed alla terza te lo schiaffa in petto.
È il vero macellaio specialista
dei bottoni di seta dei corsetti,

un duellista, un cavalier di razza,
pronto alla prima offesa e alla seconda.
Ah, l'immortale "affondo"! Il suo "rovescio"!
Il suo "toccato"...

BENVOLIO - Il suo... che cosa?

MERCUZIO - Il canchero
di questi scriteriati balbuzienti,
smancerose anticaglie svaporate,
questi novelli fini dicitori:
"Gesù, una buona lama! Un bel fustone!
"Una puttana veramente emerita!...".
Insomma, nonno, non è deplorevole
che noi s'abbia a sentirci infastiditi
da questi zanzaroni forestieri,
da questi spacciatori di etichette,
questi "pardonnez-moi", tanto fanatici
del più recente grido della moda
da non poter nemmeno star seduti
comodamente su una vecchia panca?
Uh, i lor "bons" e i loro "bans", che ridere!

Entra ROMEO

BENVOLIO - Oh, eccolo, Romeo! Ecco Romeo!

MERCUZIO - E senza il "Ro", come un'aringa secca!
O carne, carne, ti sei fatta pesce!
Ora s'è dato a sguazzar tra le rime,
all'uso di Petrarca: Monna Laura
appetto alla sua donna era una sguattera
(ebbe però migliore spasimante,
a celebrarla in rima, quella là);
Didone al paragone una sciattona,
Cleopatra niente meglio di una zingara,
Elena ed Ero due vili bagasce,
Tisbe, magari, col suo occhio verde,
ma non da starci a perder troppo tempo...
Signor Romeo, bonjour!, alla francese,
in onor delle tue braghe francesi!
Stanotte ci hai mollato la patacca.

ROMEO - Buongiorno a tutti e due... Quale patacca?

MERCUZIO - Eh, piantandoci in asso, sì, mollandoci.
Rendo l'idea?...

ROMEO - Pardon, mio buon Mercuzio:
ma era una faccenda importantissima;
e in casi come questo è consentito
di derogare alle buone maniere.

MERCUZIO - Vuoi dire che in un caso come il tuo
uno deve mostrare le sue chiappe?

ROMEO - Sì, per chinarsi e domandare scusa.

MERCUZIO - L'hai rivoltata con molta finezza.

ROMEO - E tu l'hai gentilmente interpretata.

MERCUZIO - Io, della gentilezza, son la punta.

ROMEO - Punta per fiore.

MERCUZIO - Bravo, esattamente.

ROMEO - Quand'è così, se "punta" vuol dir "fiore",
i miei scarpini sono ben fioriti.

MERCUZIO - Spiritoso! Va' avanti con lo scherzo
finché non l'avrai tutto consumato
il tuo scarpino, ché quando la suola
sarà consunta, ti resterà solo
da consumar la tua spiritosaggine.

ROMEO - O spirito con una sola suola,
e singolare solo perché singolo!

MERCUZIO - Caro Benvolio, vieni tu a dividerci,
m'accorgo che il mio spirito svanisce.

ROMEO - E porta frusta e sproni, sproni e frusta,
o avrò partita vinta!

MERCUZIO - Non dar retta!
Se si mette il mio spirito col tuo
a far la corsa dell'oca selvatica,
per me è finita; ché d'oca selvatica
ce n'è di più in un solo dei tuoi sensi
che in tutti e cinque i miei, l'uno sull'altro.
M'avevi dunque preso a fare l'oca?

ROMEO - E quando mai hai fatto insieme a me
questa corsa, se non per fare l'oca?

MERCUZIO - Meriteresti un bel morso all'orecchio
per questa tua battuta.

ROMEO - No, non mordere,
oca mia buona, non ne avresti i denti.

MERCUZIO - Il tuo spirito è molto agro-dolciastro,
una salsa piuttosto piccantina.

ROMEO - E allora non è forse ben servita
per condimento ad un'oca frollata?

MERCUZIO - Uh, questa è veramente una facezia
di pelle di capretto; è stretta un pollice,
ma stirandola si fa larga un braccio.

ROMEO - E allora te la stiro fino al punto
da raggiungere la parola "largo",
che aggiunta a "oca" è la dimostrazione
che sei un'oca grande, in lungo e in largo.

MERCUZIO - Beh, che ne dici, non è meglio questo
d'esercizio, che spasimar d'amore?
Adesso sei ritornato socievole,
adesso sei Romeo, sei tu, quel tu
ch'arte e natura insieme han fabbricato;
perché quel mocciosetto dell'amore
assomiglia ad un povero imbecille
che corre a perdifiato a destra e a manca
all'affannosa ricerca d'un buco
in cui nascondere il suo gingillino.

ROMEO - Taglia! Fermati qui!

MERCUZIO - Vuoi che tagli il discorso a contropelo?

ROMEO - Se no, chi sa che coda ci faresti,
a questo tuo discorso.

MERCUZIO - No, ti sbagli, l'avrei tagliata lì,
perché alla coda c'ero già arrivato
e non avevo proprio alcuna voglia
d'occupare più a lungo l'argomento.

Entra la NUTRICE, velata di bianco;
dietro a lei PIETRO

ROMEO - Che bell'arnese!

MERCUZIO - Una vela! Una vela!

BENVOLIO - Due, due... una camicia e una gonnella!

NUTRICE - Pietro!

PIETRO - Son qua.

NUTRICE - Il mio ventaglio, Pietro.

MERCUZIO - Sì, Pietro, per nasconderle la faccia,
il ventaglio ce n'ha una più bella.

NUTRICE - Dio vi dia il buon giorno, gentiluomini.

MERCUZIO - E a voi la buona sera, bella dama.

NUTRICE - È forse l'ora di dir buona sera?

MERCUZIO - Né più né meno, posso assicurarvelo;
l'oscena mano della meridiana
ha messo l'asta sopra mezzogiorno.

NUTRICE - Alla larga! Che razza d'uomo siete?

MERCUZIO - Uno che Dio, signora, ha fabbricato
perché si rovinasse da se stesso.

NUTRICE - "Perché si rovinasse da se stesso",
ha detto?... Eh, perbacco, ha detto bene!
Signori, c'è qualcuno tra di voi
che sa dirmi ove posso rintracciare
il giovane Romeo?

ROMEO - Io posso dirvelo;
ma il "giovane" Romeo che voi cercate
quando sarà che l'avrete trovato
sarà sicuramente "meno giovane"
di quando avete iniziato a cercarlo.
Di quel nome il "più giovane" son io,
in mancanza di peggio.

NUTRICE - Dite bene.

MERCUZIO - Ah, sì? Il peggio e il bene son tutt'uno?
Oh, bella! Ma che senno! Che saggezza!

NUTRICE - (A Romeo)
Se davvero voi siete lui, signore,
desidero parlarvi in confidenza.

BENVOLIO - Vuoi vedere che se lo invita a cena?

MERCUZIO - Uh, uh! Una ruffiana, una ruffiana!

ROMEO - Ch'hai scovato?

MERCUZIO - Una lepre no di certo;
casomai una lepre da impastare
per il pasticcio magro di Quaresima
che sa alquanto di rancido e stantio
prima ancora che te lo mandi giù.

(Canta)
"Una lepre vecchia e vizza
"sarà buona da mangiare
"di Quaresima, ma puzza,
"serve solo a digiunare."

Romeo, vieni con noi?
Si va a pranzare a casa di tuo padre.

ROMEO - Andate avanti, vi raggiungo dopo.

MERCUZIO - (Alla Nutrice)
Addio, antica dama...

(Allontanandosi canta)
"Dama, dama...".

(Escono Mercuzio e Benvolio)

NUTRICE - Ditemi voi, signore, salvognuno,
che razza di sfacciato rigattiere
è quello là, sì pieno di sconcezze?

ROMEO - È un gentiluomo così fatto, balia,
che si compiace di parlarsi addosso,
e in un minuto infila tante chiacchiere
quanto nemmeno lui sarebbe in grado
di starle ad ascoltare per un mese.

NUTRICE - Se crede di poter sparlar di me,
saprò ben io fargli abbassar la cresta,
foss'anche più forzuto di com'è
e di venti altri bulli come lui;
e se non ce la faccio da me sola,
trovo chi potrà farcela per me.
Ignobile canaglia! Farabutto!
E che! M'ha preso per una sgualdrina,
o per qualcuno della sua combriccola?
(A Pietro)
E tu che fai? Stai lì, fermo, impalato,
e lasci che un qualunque screanzato
possa svillaneggiarmi a suo talento?

PIETRO - Io, che qualcuno vi svillaneggiasse
non l'ho visto; se mai l'avessi visto,
questa mia spada, ve lo garantisco,
sarebbe uscita subito dal fodero.
A tirar fuori l'arma sono svelto
quanto un altro, se la querela è giusta,
e se la legge sta dalla mia parte.

NUTRICE - Dio sa se non mi sento tutta un fremito,
a vedermi trattata in questo modo...
Ma che razza d'ignobile furfante!
Signore, prego, ho da dirvi qualcosa.
Come vi ho detto, la mia padroncina
m'ha mandato a cercarvi.
Tengo in serbo quel che ha detto
a me ch'io vi dicessi, perché prima
vi debbo dire io, da parte mia,
che, se per caso la vostra intenzione
sia di menarla, come si suol dire,
al paradiso degli scervellati,
sarebbe proprio, come si suol dire,
la più perfida delle vigliaccate;
perché la damigella è molto giovane,
e se con lei giocaste di doppiezza,
sarebbe una solenne canagliata
ai danni d'una vera gentildonna,
un'azione davvero riprovevole.

ROMEO - Balia, alla tua signora padroncina,
tu puoi raccomandarmi, te lo giuro.

NUTRICE - Cuor d'oro! Certo, che glielo dirò!
Signore Iddio, come sarà felice!

ROMEO - Che cosa le dirai, se non m'ascolti?

NUTRICE - Le dirò, se ho saputo bene intendere,
che m'avete giurato, mio signore,
un impegno da vero gentiluomo.

ROMEO - Dille se può trovare qualche scusa,
stasera, per recarsi a confessare
da Fra' Lorenzo; e lì, nella sua cella,
si troverà confessata e sposata.
Toh, prendi questo, per il tuo disturbo.

(Le porge una borsa)

NUTRICE - No, signore, no, no! Nemmeno un soldo!

ROMEO - Su, prendilo.

NUTRICE - (Prendendo la borsa)
Stasera, avete detto?
Bene, state tranquillo. Ci sarà.

(Fa per andarsene)

ROMEO - Aspetta, buona balia: in capo a un'ora,
dietro il muro di cinta del convento,
fatti trovare da un mio servitore;
lui ti consegnerà una scala a corda
che, nel segreto poi di questa notte,
dovrà aiutarmi a salire su in alto,
al sommo della mia felicità.
Mi raccomando a te; siimi fedele,
ed io saprò come ricompensarti.
Salutami la tua padrona. Addio.

NUTRICE - Ora, Dio da lassù ti benedica,
figliola mia... Signore, un'altra cosa.

ROMEO - Che dice ancora la mia cara balia?

NUTRICE - Quel vostro servo è persona sicura?
Perché c'è un detto - l'avrete sentito - che se son due a sapere un segreto
questo può esser solo mantenuto
se uno di quei due vien fatto fuori.

ROMEO - Sta' tranquilla, il mio uomo è a tutta prova,
come l'acciaio, te lo garantisco.

NUTRICE - Bene, signore. E la mia padroncina
è la più deliziosa damigella...
Mio Dio, l'aveste vista quando ancora
era una fringuellina tutta lingua!...
Oh, c'è in città un signore, un certo Paride,
cui non parrebbe vero
di poterla abbordare con successo;
ma lei, anima santa, più che quello,
vedrebbe meglio un rospo, dico un rospo.
Talvolta mi diverto a stuzzicarla
dicendole che Paride è il suo uomo,
ma lei, solo a sentirlo nominare,

diventa pallida come uno straccio,
v'assicuro... Romeo e Rosmarino
non cominciano con la stessa lettera?

ROMEO - Sì, nutrice, con "erre". E che, con ciò?

NUTRICE - Burlona! Quello è il nome del suo cane.
"Erre" poi sta per... no, è un'altra lettera...
Ma lei su Rosmarino e su di voi
ci ha imbastito dei motti graziosissimi
che a sentirli vi spassereste un mondo.

ROMEO - Addio. Salutami la padroncina.

NUTRICE - Sì, mille volte.

(Esce Romeo)

Pietro!

PIETRO - Sono qua.

NUTRICE - Toh, il mio ventaglio e avviati, andiamo, presto.

(Escono)

SCENA V - Verona, l'orto dei Capuleti

Entra GIULIETTA

GIULIETTA - Eran le nove appena, quand'è uscita...
M'aveva detto ch'entro una mezz'ora,
al più tardi, sarebbe ritornata.
Forse non è riuscita a rintracciarlo...
No, non può essere... Oh, quella è zoppa!
A fare i messaggeri dell'amore
dovremmo poter mettere i pensieri,
che corron dieci volte più del sole
quando rapido caccia coi suoi raggi
l'ombre dall'accigliate erte colline.
Per questo, Amore è trainato in volo
da colombe, e Cupido ha due alucce
che corrono veloci come il vento.
Il sole è al culmine del suo percorso,
tre ore, dalle nove a mezzogiorno,
e questa balia ancora non mi torna!
Avesse in corpo anch'essa le passioni
e il sangue caldo della gioventù,

sarebbe rapida come una palla;
e sarebbero allor le mie parole
a lanciarla al mio amore, e quelle sue
a farla rimbalzar veloce a me.
Ma i vecchi a volte sono gente morta,
inerti, gravi, lividi e pesanti
come piombo...

Entrano la NUTRICE e PIETRO

Ma eccola, Deograzia!
Balia mia dolce, allora, che mi dici?
L'hai trovato?... Licenzia questo servo.

NUTRICE - (A Pietro)
Va', aspettami al cancello.

GIULIETTA - Presto, presto,
cara, buona nutrice, dimmi tutto!
Oh, Signore! Cos'è quell'aria triste?
Anche se le notizie sono tristi,
dammele almeno con la faccia lieta;
se buone, non sciupar la loro musica
suonandola con quella cera arcigna.

NUTRICE - Sono sfinita. Fammi prender fiato.
Ah, che dolore all'ossa! Che trottata!

GIULIETTA - Se tu potessi avere le mie ossa,
ed io le tue notizie... Suvvia, parla!
Parla, ti prego, dolce mia nutrice!

NUTRICE - Gesummaria, che maledetta furia!
Non puoi proprio aspettare un solo istante?

GIULIETTA - Come puoi dire d'esser senza fiato
se ti rimane ancora tanto fiato
per dire che ne sei rimasta senza?
La scusa che tu dai a questi indugi
è più lunga di quello ch'hai da dirmi,
e che ti scusi di non poter dire.
Rispondi almeno con un "sì" o un "no":
se le notizie son buone o cattive.
Per i dettagli posso anche aspettare.
Fammi contenta: son buone o cattive?

NUTRICE - Ebbene, hai fatto una meschina scelta;
tu non lo sai come si sceglie un uomo.
Romeo!... Ah, non è lui che fa per te;
anche se quel suo viso, chi lo nega?,
è certamente più bello degli altri,
la sua gamba è tornita senza pari,
e mani e piedi e tutto il resto... beh!,
sebbene ci sia poco da ridire,
tuttavia, sì, beh!, sono senza confronto.
Non sarà proprio un fior di cortesia;
- questo sì, lo posso garantire - gentile e docile come un agnello...
Va', va', fanciulla mia, per la tua strada!...
E servi Dio!... S'è già pranzato qui?

GIULIETTA - No, non ancora... Però tutto questo
io lo sapevo già. Ma il matrimonio...
Che t'ha detto del nostro matrimonio?
Che ne pensa?

NUTRICE - Oh, Dio, che mal di testa!
Che male al capo! Me lo sento battere,
come volesse farsi in mille pezzi!
E la schiena, qui dietro! Oh, la mia schiena!
Con che cuore m'hai sguinzagliato in giro
ad acchiapparmi davvero la morte
a trottare su e giù per la città!

GIULIETTA - Mi duole assai che non ti senti bene.
Ma dimmi, dolce, dolce mia nutrice,
dimmi che cosa dice l'amor mio.

NUTRICE - L'amor tuo, da compito gentiluomo,
cortese, buono, bello e - garantisco - anche virtuoso... Ma dov'è tua madre?

GIULIETTA - Dov'è mia madre?... E dove vuoi che sia?
In casa! Che maniera stravagante
di darmi una risposta: "L'amor tuo,
dice, da quel compito gentiluomo,
dov'è tua madre..."

NUTRICE - Eh, Vergine Santa!
Prendi fuoco così? E dopo allora?
Vergine Santa! È questo il cataplasma
che m'appresti pel mio dolore alle ossa?
D'ora in avanti, cara, le ambasciate
te le farai da te!

GIULIETTA - Eh, quante storie!
Insomma, avanti, che dice Romeo?

NUTRICE - Il permesso d'andarti a confessare
ce l'hai per oggi?

GIULIETTA - Sì.

NUTRICE - E allora, presto:
corri alla cella di Frate Lorenzo:
lì dentro c'è un marito che t'aspetta
per far di te sua moglie... Ecco, lo vedi?
Ecco che quel tuo sangue ruffianello
già t'inonda le gote... una notizia,
e subito si fanno di scarlatto.
Va' subito alla chiesa; io son costretta
a raggiungerti per un'altra strada
per provvedermi d'una certa scala
con la quale il tuo amore, appena buio,
dovrà salire al nido d'un fringuello.
Io, pel momento, faccio il portapesi
che sfacchina per te; ma appena notte,
quel peso lo dovrai portare tu.
Vado a metter qualcosa sotto i denti.
Tu affrettati alla cella.

GIULIETTA - Alla mia gioia!
Alla suprema mia felicità!
Buona, cara nutrice! Arrivederci!

(Escono)

SCENA VI - La cella di Frate Lorenzo

Entrano FRATE LORENZO e ROMEO

FRATE LORENZO - Il cielo arrida a questo atto sacrale,
sì che l'ore future, a suo castigo,
non abbiano a recarci alcun dolore.

ROMEO - Amen, padre Lorenzo, così sia!
Ma qualunque dolore me ne venga,
non potrà bilanciar l'immenso gaudio
d'un solo istante della sua presenza.
Congiungi tu, con le parole sante,
le nostre mani, e poi venga la Morte,
la gran divoratrice dell'amore,
a far di noi tutto quello che vuole.
A me basta poterla chiamar mia.

FRATE LORENZO - Codesti subitanei piacimenti
hanno altrettanta subitanea fine,
e come fuoco o polvere da sparo
s'estinguono nel lor trionfo stesso,
si consumano al loro primo bacio.
Miele più dolce si fa più stucchevole
proprio per l'eccessiva sua dolcezza,
e toglie la sua voglia al primo assaggio.
Perciò sii moderato nell'amare.
L'amor che vuol durare fa così.
Chi ha fretta arriva sempre troppo tardi,
come chi s'incammina troppo adagio.

Entra GIULIETTA

Ecco la sposa... Oh, sì leggero piede
potrebbe camminare eternamente
su quella soglia, senza consumarla.
Un amante potrebbe navigare
sul tenue filo d'una ragnatela
fluttuante alla brezza dell'estate,
sì leggera è l'umana vanità.

GIULIETTA - Buona sera al mio santo confessore.

FRATE LORENZO - Romeo ti dirà "grazie" anche per me,
figliola.

GIULIETTA - Ed io lo stesso dico a lui,
perché i suoi "grazie" non siano di troppo.

ROMEO - Ah, Giulietta, se la tua gioia è al colmo
come la mia, e se meglio di me
sai esaltarla, effondi tu nell'aria
il dolce effluvio della tua parola,
e il linguaggio di quella ricca musica
renda l'idea dell'infinito gaudio
che entrambi riceviamo, l'un dall'altro,
in questo nostro dolcissimo incontro.

GIULIETTA - Quando il pensiero è ricco
di fatti più che di sole parole,
può sfoggiare la sua intima essenza
senza bisogno d'altri abbellimenti.
Solo chi è povero può calcolare
quanto possiede; ma l'amore mio
è giunto a tale eccesso di ricchezza,
che ormai non saprei più tenere il conto
della metà di tanto mio tesoro.

FRATE LORENZO - Venite, su, sbrighiamoci, alla svelta;
perché soli, voi due, non vi dispiaccia,
non potete restare, fino a tanto
che Santa chiesa non v'abbia congiunti.

(Escono)

Primo atto
 
 

 

 

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