Cenni storici

Solo in tempi moderni la scienza occidentale ha scoperto la visione dell’uomo come totalità psico-somatica. Dall’apertura di questo nuovo orizzonte è nata la Danzaterapia.

L’idea della valenza terapeutica della danza si sviluppa grazie all’incontro tra le progressive conquiste della danza occidentale e le pratiche della meditazione orientale, mirate al recupero dell’armonia interiore. La danzaterapia infatti nasce in continuità con lo sviluppo della danza moderna: furono le danzatrici degli anni Quaranta a trovare nella danza e nel piacere del movimento in sé, una risorsa terapeutica, in seguito all’esperienza di lavoro con pazienti affetti da disturbi mentali, prevalentemente soldati, che, nell’immediato dopoguerra, erano stati colpiti da disturbi della personalità.

Lontana da scopi di tipo tecnico ed agonistico, la danzaterapia si presenta come un momento di intensa concentrazione, alla ricerca di nuovi stati di consapevolezza.

Il termine danza deriva da un’antica radice sanscrita, il cui significato originario è tensione: tensione muscolare, tensione della colonna vertebrale, del respiro ed, al tempo stesso, tensione dell’uomo tra terra e cielo e dell’anima verso il suo Dio. La danza è energia vitale, creativa, è espressione completa della persona, è pratica di consapevolezza corporea ed in quanto tale può divenire via di guarigione, regola di vita o anche via di accesso ad una dimensione di assoluto.

Si può considerare la danza un evento psicosomatico, perché attraverso il corpo, nella sua totalità, vengono espresse emozioni, sensazioni che determinano un cambiamento nella persona, la quale avverte un ampliamento delle proprie potenzialità percettive, partecipando ad un percorso creativo, individuale e collettivo. Si tratta di un viaggio alla ricerca della propria identità, riscoprendo le proprie radici, che mette l’uomo contemporaneo in relazione con popoli lontani (antichi greci, indiani, mexica, tibetani, turchi, etc…).

La danzaterapia intende recuperare il significato originario della danza, quello che aveva in epoche lontane. La danza infatti è un potente ed antichissimo canale di espressione, che attraverso la sua lunghissima storia ha perso, in alcuni periodi, la sua funzione fortemente catartica e comunicativa per poi ritrovarla nella danza moderna e nei primi approcci alla danza terapia.

La danzaterapia nasce in continuità con lo sviluppo della danza moderna; saranno infatti le danzatrici moderne, negli anni ’40, a trovare nel piacere del movimento in sé una risorsa terapeutica. Inoltre il lavoro effettuato con i soldati che, nell’immediato dopoguerra, manifestavano gravi disturbi della personalità, ha documentato l’indubbia efficacia della danza come trattamento terapeutico. Sono state dunque le danzatrici, ovvero delle artiste, a sperimentare su se stesse e successivamente sugli altri il valore terapeutico della danza, senza avvalersi di modelli psicologici e di nozioni teoriche di psicopatologia, in quanto non erano di loro competenza. Nei decenni successivi, in seguito a queste esperienze, si sono sviluppate delle scuole e degli orientamenti ad opera di danzatori e psicologi che hanno cercato di conferire alla danzaterapia i presupposti scientifici necessari per utilizzarla come terapia sostitutiva o di sostegno a quella tradizionale.

La danza è una forma di espressione antichissima: numerose figure, descrizioni e scritti dell’epoca protostorica testimoniano come già dalla più remota antichità l’uomo abbia avvertito il bisogno di esprimersi attraverso la danza. L’uomo trova nel suo corpo il canale privilegiato per entrare in contatto con le divinità, per celebrare quelle buone e proteggersi da quelle malvagie.

Si tratta di gesti semplici che rievocano le movenze degli animali, delle piante, cioè di tutto l’ambiente circostante, che gli permettono di partecipare pienamente ai ritmi della natura. Imitandoli e identificandosi con essi, l’uomo danza gli eventi più importanti delle sua esistenza: la nascita, l’iniziazione all’età adulta, il matrimonio, la caccia, la semina e il raccolto, la guerra e infine la morte. Accompagnando gli uomini durante riti, feste e preghiere, la danza ha agito da elemento unificante dei momenti significativi della vita sociale praticamente in ogni civiltà.

La danza rituale assunse la funzione di contenere le ansie delle popolazioni nei confronti delle misteriose forze della natura e degli eventi che sfuggivano alla loro comprensione; si trattava di un tipo di danza sicuramente non strutturata secondo canoni estetici, che si formarono successivamente, ma di una composizione di movimenti totalmente dettati dall’istinto e volti a rappresentare lo stato d’animo del danzatore. Il movimento del corpo entrava in relazione con l’ambiente circostante, col mutare degli eventi e con lo scorrere stesso della vita; la danza era quindi vissuta come la possibilità di sentirsi parte di un tutto e di esprimere le proprie emozioni. Questo bisogno di danzare, concependo la danza nel suo essere vita, ancora prima che arte, tornò a manifestarsi prepotentemente anche migliaia di anni dopo, quando, intorno ai primi del Novecento, i danzatori si ribellarono alla danza accademica.

Questo stile di danza si basava su tecniche e passi prestabiliti, che vennero codificati dall’Académie Royale de Danse, fondata a Parigi nel 1661 da Luigi XIV e tendeva a cristallizzare il movimento entro una sfera di perfezione tecnica, di regole estremamente rigide che concedevano ben poco spazio all’individualità e alla libera interpretazione, in nome di un tecnicismo che sviliva l’espressività per privilegiare la purezza del movimento.

Protagoniste dello stile accademico erano le ballerine, a cui veniva richiesto di aderire a un modello di femminilità eterea e incorporea, mentre il ruolo del ballerino era indubbiamente secondario e limitato a quello di porteur, ossia colui che supporta la ballerina nella sua elevazione dal suolo. A questo stile di danza si contrapposero dei ballerini che, anticipando la corrente della Modern dance, respinsero ogni rigido tecnicismo della danza classica per ricercare un movimento libero che permettesse di esprimere pienamente il proprio mondo interiore.

La danza libera non fu l’espressione di un’unica scuola di pensiero ma una nuova concezione che è stata man mano arricchita dai contributi di diversi artisti, la cui esponente principale fu Isadora Duncan.

Contemporaneamente, e anche dopo di lei, saranno in molti, e tra questi alcuni suoi allievi, a proseguire questo percorso di rinnovamento della danza: tra queste figure ricordiamo Ted Shawn, Ruth St. Denis, Martha Graham, Doris Humphrey, Emile-Jacques Dalcroze, Rudolph von Laban, Mary Wigman, Kurt Jooss, Anna Sokolow, José Limon, Alvin Ailey.

La danza moderna compie una serie di conquiste di fondamentale importanza per la nascita della danzaterapia. Come abbiamo visto, all’inizio del ‘900 la danza comincia a spogliarsi degli abiti di un accademismo elitario per riprendere possesso delle proprie finalità espressive e comunicative. La danza moderna si volge a celebrare l’unità dell’uomo, anima e corpo, e a dare spazio alle emozioni ed ai sentimenti. In questo clima di rinnovamento e di crescita, intorno agli anno ’40, alcune danzatrici americane iniziarono a scoprire, partendo dalla propria esperienza personale, che la danza ha degli effetti terapeutici. Tra queste le prime a portare avanti questa convinzione sono state Marian Chance e Trudy Schoop. Marian Chance fu un’insegnante molto sensibile ed attenta alle esigenze di ogni singolo allievo; nel 1930 attraverso l’osservazione dei bambini che, nonostante una scarsa propensione fisica alla danza, mostravano un grande entusiasmo ed un’encomiabile tenacia nel continuare a praticarla, intravide nel movimento una concreta possibilità per tutti di esternare le proprie emozioni e soprattutto le proprie sofferenze.

Attraverso la sua grande esperienza nel mondo della danza e dell’insegnamento scoprì e sperimentò la spontaneità e la profondità del linguaggio del corpo. La Chance trovò nel potere comunicativo del corpo una risorsa per dare parola a chi non è in grado di comunicare attraverso il linguaggio verbale. Guidata da questa convinzione, nel 1942 iniziò a lavorare ad un progetto educativo e riabilitativo per persone affette da disturbi mentali, all’interno dell’ospedale psichiatrico St. Elisabeth di Washington, dove incontrò la disponibilità dei dirigenti che si trovarono a dover affrontare tempestivamente una situazione molto grave: prendersi cura di quei soldati che nell’immediato dopoguerra tornarono dai campi di battaglia, affetti da disturbi della personalità. Marian Chance si occupò di progettare degli interventi diversi in base alle diverse patologie: schizofrenia, depressione, isteria.

Trudy Schoop, nata a Zurigo nel 1903, iniziò in tenera età a danzare per placare le sue ansie ed esternare emozioni e sentimenti; lei stessa affermò di essere guarita grazie alla danza, che le permise di dare una forma concreta alle proprie fantasie angoscianti e ossessioni e in tal modo ad accettarle, vivendo il male e l’angoscia come una parte di sé. Dopo aver compiuto degli studi di danza classica si accostò alla danza moderna, seguendo gli insegnamenti di un’allieva di Isadora Duncan, in Svizzera si dedicò sia all’insegnamento, in una scuola da lei stessa avviata, sia alla rappresentazione di pantomime all’interno del Cabaret Corniction. Qualche anno dopo, al termine del secondo conflitto mondiale, la Schoop si recò in America ed in seguito alla morte del marito si trasferì in California, dove scelse di lavorare con i pazienti di una clinica psichiatrica, elaborando una sua strategia di intervento. Decise di condurre dei gruppi composti da un numero limitato di pazienti e preferibilmente con lo stesso tipo di patologia, poiché riteneva dispersivo e inefficace lavorare con tante persone affette da disturbi differenti. Scelse inoltre di operare tenendo presente l’inscindibilità del binomio mente-corpo attraverso un approccio esclusivamente artistico, senza riferimento ad alcuna teoria psicologica.

Secondo la Schoop la danza offre la possibilità, attraverso movimenti da lei definiti “archetipi” – come strisciare, raggomitolarsi e saltare – di avvertire la percezione di sé. Oltre a lavorare con pazienti affetti da disturbi psichici, Trudy Schoop si dedicò anche a organizzare corsi di formazione per professionisti quali medici, psicomotricisti, psicologi; anche nella formazione il suo metodo è intuitivo, si basa sull’espressione artistica, sul linguaggio del corpo e non su una vera e propria tecnica psicologica.

È importante sottolineare che queste due artiste, nonostante lavorassero utilizzando una metodologia connotata da una forte intuizione, si siano avvalse della collaborazione di psicologi e psichiatri, attuando un’interessante integrazione di competenze differenti. Attraverso questo modo di operare, si ottennero risultati sorprendenti, soprattutto con i pazienti che non erano assolutamente in grado di comunicare mediante la parola e che, grazie a questo approccio, ebbero la possibilità di comunicare ed essere capiti grazie al movimento. Il potere terapeutico della danza, proposto da queste due danzatrici, ha sede proprio nella dimensione catartica e liberatoria di cui è dotato il movimento spontaneo.


A cura di Rossella Bruzzone

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