Agon

Balletto per dodici danzatori
Coreografia George Balanchine
Musica Igor Stravinski
Prima rappresentazione New York, City Center, New York City Ballet, 27 novembre 1957 (per beneficenza) e 1 dicembre 1957
Interpreti Melissa Hayden, Diana Adams, Barbara Walczak, Barbara Millberg, Todd Bolender, Roy Tobias, Jonathan Watts, Arthur Mitchell, Roberta Lubell, Francia Russell, Dido Sayers, Ruth Sobotka
Luci Nananne Porcher

Si tratta di un balletto a tema libero, eseguito da dodici ballerini (otto danzatrici e quattro danzatori) in costumi di prova, senza scenografia. È diviso in tre sezioni:

  • Pas de quatre, Double pas de quatre, Triple pas de quatre;
  • Prélude, Premier pas de trois, (Sarabande), Gaillarde, Coda, Interlude, Deuxième pas de trois (Branle simple), Branle Gay, Branle de Poitou;
  • Interlude, Pas de deux, Coda, Quatre duos, Trois duos.

Il termine greco che viene utilizzato come titolo significa competizione, e il balletto mette in scena, per l’appunto, una gara fra danzatori, una vera e propria esibizione agonistica.

Dalla collaborazione Stravinski-Balanchine, dopo l’Apollon Musagète di trent’anni prima, scaturisce il secondo capolavoro. Come sempre in Balanchine, la costruzione coreutica è rigorosissima e si basa sulla grammatica classico-accademica, variata nei suoi sviluppi contrappuntistici: Stravinski compose la musica secondo procedimenti di tecnica seriale eppure qualcuno ha interpretato il balletto non solo come successione di danza pura, e quindi astratto, ma come “metafora esistenziale della tensione e dell’angoscia”. Anche a Balanchine succedeva spesso di lasciare alla danza il racconto di se stessa senza voler descrivere situazioni o stati d’animo sebbene poi componesse Serenade o I quattro temperamenti dove l’astrazione espressiva si faceva strada come elemento indispensabile alla sua poetica.

Alberto Testa, dopo aver visto Agon a Spoleto in occasione del Festival dei Due Mondi 1965, scrisse:

Agon è certamente uno dei balletti ‘perfetti’ del nostro tempo. Dopo I quattro temperamenti la letteratura balanchiniana si è arricchita di un gioiello del più puro modernismo. Stravinski lo compose alla maniera di una partitura seriale nel 1957 interpretando antiche danze francesi del Seicento ma senza alcun preciso intento di trasposizione visiva, storica o stilistica. Gli spiriti di Domenico da Piacenza, Antonio Cornazano, Guglielmo Ebreo hanno certamente sorriso a Balanchine ma con quale sapienza grafica, con quale eleganza egli ha ironizzato su quell’aulica traccia. Non si sarebbe proprio immaginato che, dopo I quattro temperamenti, Balanchine sarebbe andato oltre e tanto lontano nel movimento tracciando linee e figure che ci riportano agli spazi infiniti della nostra epoca. Infine, solo un coreografo come lui avrebbe potuto penetrare l’irto fraseggio stravinskiano (si pensi alla ricorrente forma di canone e alle entrate dei vari attacchi vicine di mezze battute le une alle altre, per cui il succedersi dei temi genera un effetto straordinario di gioco imitativo) e solo un gruppo come quello diretto da lui avrebbe potuto interpretarlo. Suzanne Farrell, nuova creatura balanchiniana, sinuosa come una liana, serena come un’aurora boreale, un vero miracolo di purezza tecnica, e il nero Arthur Mitchell si fondono meravigliosamente nel contrasto delle opposte figure”.

Il balletto, mantenuto nel repertorio del New York City Ballet, è stato ripreso nella versione di Balanchine, da altre compagnie, fra cui il Royal Ballet di Londra (Covent Garden, 23 gennaio 1973), il Dance Theater di Harlem (1971), il corpo di ballo dell’Opéra di Parigi (1974) – che lo ha portato anche in Italia al Festival di Villa Medici nell’estate del 1979 – e i Balletti di Stoccarda, Ginevra, Amburgo (1970). Da ricordare anche l’edizione di Reggio Emilia del 1982 con ripresa nel 1991. In Germania nel 1973 ne venne realizzata una produzione televisiva.

Fin a partire dall’anno successivo alla prima di Balanchine, vennero tentate altre versioni: a Düsseldorf (Otto Kruger, 1958, prima rappresentazione europea); a Berlino (Tatiana Gsovski, Deutsche Oper, maggio 1958), a Londra (Kenneth MacMillan, Covent Garden, 20 agosto 1958, interpreti David Blair e Anya Linden), a Vienna (Yvonne Georgi, 1958), a Copenhagen (Elske Holm, Teatro Reale dell’Opera, 28 gennaio 1967). Ma nonostante tutti questi tentativi la migliore coreografia resta quella di Balanchine, insuperata.


A cura di Alberto Soave


Fonti:

  • Alberto Testa, I Grandi Balletti, Repertorio di Quattro Secoli del Teatro di Danza, Gremese Editore, Roma 1991

 

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