da "Il
Nuovo" del 18 dicembre
2002
"Era
dolce e tenero. Sempre presente.
A dieci anni dalla morte Carla
Fracci lo ricorda così.
''Se si vuol
ricordare Rudy bisogna farlo
con gioia - racconta Carla Fracci,
parlando di Rudolf Nureyev,
compagno e maestro di tanti
momenti importanti della sua
carriera - perché lui
ha fatto nella vita quel che
voleva, con piacere, a suo modo
anche felice, sapendo il prezzo
da pagare e con grande curiosità
culturale''.
Più
di venti anni di balletti, ''circa
trecento volte in palcoscenico
assieme'', dice sempre la Fracci,
dal 1966 al 1988, primo e ultimo
spettacolo la Silfide di Bournoville,
un rapporto professionale intenso,
ma anche un'amicizia lunga e
''tenera come sapeva essere
lui, piena di confidenze in
cui parlava del suo sogno ricorrente:
una scala fatta di pane per
arrivare a sua madre, in Russia,
dove non gli davano il permesso
di tornare. E poi la mancanza
di una famiglia. Tu hai un figlio,
mi diceva, io niente. In realtà
faceva una vita e aveva un carattere
che lo portavano ad essere sempre
irrequieto, insofferente degli
altri, così da avere
coscienza di essere un uomo
solo''.
La Fracci,
mentre La Scala, Parigi e Londra
lo celebrano a dieci anni dalla
morte (6 gennaio 1993), ricorda
quando arrivò a Milano,
scappato dal suo paese: ''Era
infastidito da tutto quanto
gli ricordava la Russia. Rifiutava
persino di parlare la sua lingua.
Poi, scoperta la perfezione
essenziale del Royal Ballet,
la purezza delle coreografie
di Erich Bruhn, che divenne
suo compagno, diventò
molto critico col ballare alla
russa, con gambe lanciate in
alto e certi sbracciamenti,
cui, come ricordò durante
le prove del Lago dei Cigni,
si riferiva in modo spregiativo,
invitandoci a esser lineari
e puliti in ogni movimento''.
Sul lavoro
Nureyev ''era di grande generosità,
sapeva dare tanto, ma pretendeva
molto e soprattutto voleva forza,
carattere. Nella partner non
ammetteva debolezze, se si accorgeva
che una era stanca alla fine
di un passo a due, poteva indispettirsi
e lasciarla cadere. Era preciso,
se diceva due piroette, due
dovevano essere. Una volta che
provai a continuare con una
terza - racconta sorridendo
Carla Fracci - durante La Bella
Addormentata, mi fece rigirare
indietro senza pietà.
Quando aveva familiarità,
amava fare sorprese in scena.
Era dove non te lo aspettavi.
Mentre avviavi un movimento
che doveva concludersi con lui,
lo scoprivi lontanissimo e pensavi
non sarebbe mai arrivato in
tempo. Era il suo modo di suscitare
competizione, di costringerti
a eccitarti e essere vigile,
per eccitarsi anche lui e tirar
fuori forza e prontezza. Insegnava
a stare sulle proprie gambe
e a non affidarsi al ballerino.
Ed è stata per me la
sua più grande lezione''.
Poi ancora
un ricordo personale, cui la
Fracci tiene particolarmente:
''Quando decise che dovevamo
fare Lo Schiacchianoci assieme
e io non avevo tempo, non ascoltò
nemmeno le mie scuse e mi portò
in sala prove col pianoforte.
Dopo tre giorni mi aveva insegnato
tutto, passo dopo passo, ed
eravamo già a iniziare
le generali. Abbiamo debuttato,
con grandissimo successo, dopo
solo cinque giorni. 'Hai visto
cosa vuol dire avere coraggio?',
mi disse mentre prendevamo gli
applausi''. L'ultima volta che
la Fracci lo vide: ''Era all'Isola
dei Galli e, anche se molto
malato, prese la barca e l'auto
pervenire a un mio spettacolo
all'aperto a Sorrento. Un atto
di amicizia. Gli dissi che ero
stanca e pensavo di ritirarmi
e lui allora reagì con
la solita forza, incitandomi
a andare avanti, a non mollare.
Da allora lo sentii solo al
telefono. A Parigi rispondeva
lui direttamente con una voce
sempre più flebile, ovattata.
Non ho avuto più il coraggio
di andare a trovarlo di persona''.
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