Il contrappunto di Vivaldi difficile da coreografare

Ieri, sabato 16 gennaio alle ore 20.00 è stato possibile assistere in streaming gratuito sul canale YouTube ufficiale del Teatro dell’Opera di Roma al balletto Vivaldi Suite, secondo appuntamento con la danza, dopo Baroque Suite. Il balletto porta la firma di Michele Merola, fondatore e direttore artistico di MM Contemporary Dance Company, al suo debutto con il Corpo di Ballo del Lirico Capitolino. In questo lavoro abbiamo visti impegnati sette danzatori della Compagnia del Costanzi, che hanno danzato sulle note di “Cum dederit” da Nisi Dominus RV 608; Allegro dal Concerto in mi minore per violino, “Il favorito”; Largo dal Concerto in Re maggiore per violino, “L’inquietudine”; la Sonata a tre op. 1 n. 12, “La follia”.

Importante prima di esprimere un giudizio sulla danza è presentare la musica di Vivaldi, quelle che sono le sue caratteristiche e peculiarità, il che farà comprendere meglio quanto espresso sulla coreografia.

Vivaldi ha segnato il confine di un’epoca, sciogliendo la scrittura musicale dai residui speculativi di una concezione dottrinale che ancora pretendeva la musica come manifestazione dell’ordine cosmico attraverso l’arte del contrappunto. Vivaldi, che faceva gran de uso del contrappunto, da esso spesso trasgrediva osando nell’instaurare lunghi passaggi all’unisono nonché accompagnamenti al tema di puro riferimento atmosferico e apparentemente privati di valore costruttivo. La tensione degli intervalli estesi, l’ossessività ritmica, lo spregiudicato impiego della dissonanza, l’apparente rottura di continuità attraverso le pause, l’uso di accompagnamenti spezzati dove il frammento ha un doppio significato (in sé e in rapporto con la più ampia componente strutturale), il frequente contrasto fra maggiore e minore, sono tutti elementi di un concetto compositivo inneggiante alla libertà individuale. Elementi che, unitamente alla presa di coscienza della dimensione sonora in quanto tale, sono ormai disposti a diventare il fondamento della moderna sensibilità musicale borghese.

Solo partendo da queste nozioni basi di conoscenza del compositore si può pensare di coreografare le sue note consapevoli di fare un buon lavoro se no, è tutto in salita.

Purtroppo la preparazione musicale dei coreografi italiani non è certo quella degli stranieri (russi in primis), che accanto agli studi della danza approfondiscono anche quelli musicali, studiando solfeggio e applicandosi anche ad uno strumento, pertanto non possiamo stupirci più di tanto se i loro prodotti costruiti sulla musica classica (barocca in questo caso) lasciano poi a desiderare.

Annalisa Cianci e Claudio Cocito

Quanto si è visto ieri sera infatti ha dimostrato che la creazione di Michele Merola presentava lacune soprattutto in campo musicale. Se la partenza del balletto, con un assolo eseguito da un ottimo Claudio Cocito, ci lasciava sperare in qualcosa di buono, via via, ci ha poi deluso all’ingresso delle tre figure femminili provviste di mascherine e guanti (cosa già esteticamente penalizzante). La coreografia di Merola si basa su movimenti che oscillano tra la tecnica classica e un contemporaneo obsoleto, il che non presenta nulla di interessante nè tira fuori le capacità dei danzatori della compagnia. Questo si dimostra ancor di più nel passo a due tra Cocito e Annalisa Cianci, ottima danzatrice anche lei, che però in questo brano, dall’ingresso tremolante in mezza punta, con un prosieguo fatto di prese poco attinenti alla tecnica temporanea, non convince e risulta debole. Ma a questa prima parte della creazione tutto sommato non si può negare la sufficienza. Il peggio lo troviamo nei 15 minuti successivi in cui i pezzi d’insieme mancano di dinamismo facendo uso di passi ripetitivi, portando ad un risultato pasticciato e confuso. La gestualità si rifà al primo Bigonzetti, e tutto va avanti a fatica dando l’impressione si voglia arrivare alla fine il prima possibile per togliersi il problema. L’uso dei saltelli sul contrappunto di Vivaldi sembra davvero una soluzione troppo facile per adeguarsi ad una struttura musicale che richiede ben altro per essere tradotta in danza. E qui ci ritroviamo alla precisazione fatta in partenza.

E così il balletto si esaurisce lasciando un vuoto agli spettatori.

Qualcuno forse penserà che in questo momento i critici dovrebbero essere più clementi nel giudicare chi comunque sta facendo qualcosa perché il mondo dello spettacolo (in questo caso la danza in particolare), non venga completamente oscurato, ma siamo dell’idea che se il covid può aver penalizzato, e penalizza, ancora l’allenamento dei ballerini, certo non può e non deve avere lo stesso effetto sulle menti creative. La storia insegna quanto proprio in mezzo alle maggiori difficoltà di vita i grandi hanno saputo dare ai posteri. Ecco prendiamo esempio da loro, sempre se ci sono le qualità.

Francesca Camponero

[In alto: Claudio Cocito, “Danza alla Nuvola”, Vivaldi Suite]

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