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LA GIARA
Balletto in un atto
LibrettoLuigi Pirandello
CoreografiaJean Börlin
MusicaAlfredo Casella
Prima rappresentazioneParigi, Théâtre des Champs-Elysées, Ballets Suédois de Rolfe Maré, 19 novembre 1924
InterpretiJean Borlin (un giovane), Inger Fris (Nela), Eric Viber (Zì Dima), Axel Witzansky (don Lollò)
Scenografia e costumiGiorgio de Chirico
Tit. francese La Jarre
Tit. inglese The Jar

Innumerevoli le versioni che seguirono alla prima parigina. Fedele d'Amico inserisce la Giara in una recensione sulla rivista "Sicilia" nella quale si racconta la nascita di questo balletto. Nel 1923 i Balletti Svedesi erano alla ricerca di un nuovo lavoro che potesse competere in successo con Le tricorne di Massine-de Falla-Picasso. Rolf de Maré direttore della compagnia, pensò a qualcosa che potesse esprimere lo spirito folcloristico al pari del capolavoro di Massine. Mentre là la protagonista era la Spagna, qui sarebbe stata l'Italia a trionfare. Venne scelto Alfredo Casella che in collaborazione con Mario Labroca decise di comporre un'opera comica basata sulla novella pirandelliana. La stesura del libretto fu affidata a Luigi Pirandello che modificò il testo letterario in senso satirico. Nella novella si affronta un caso legale, il problema della giustizia per una giara rotta, ("chi rompe paga e i cocci sono suoi"), per il balletto invece l'autore pensò ad una beffa paesana, storia d'amore intrecciata a temi del folclore siciliano.

Il ricco possidente don Lollò è l'orgoglioso proprietario di una giara. La figlia Nela è innamorata di un giovane alle cui nozze don Lollò non vorrebbe dare l'assenso. Si fa festa nel contado. Durante una scherzosa colluttazione fra contadini si urta la giara rompendone un pezzo. Don Lollò vede il misfatto andando in escandescenze. Si manda a chiamare Zì Dima Licasi, il conciabrocche, che accetta di riparare la giara. Il lavoro però presenta complicazioni, in quanto bisogna entrare nella giara se la si vuole riparare. I contadini lo aiutano ad infilarsi dentro e poco dopo il lavoro è finito, ma a questo punto iniziano i guai: Zì Dima è gobbo e una volta entrato nella giara non riesce più ad uscirne. Don Lollò, infuriato, lo costringe a rimanere prigioniero del vaso piuttosto che permettergli di romperlo per uscirne. Scende la notte. Dalla giara esce il filo di fumo della pipa di Zì Dima, mentre nell'aia risuona la serenata a Nela da parte dell'innamorato e i contadini bevono alla salute del conciabrocche. La danza si fa chiassosa. Don Lollò si sveglia e fuori di sè si precipita in scena, dà un calcio alla giara, facendola rotolare fuori, inseguita da tutti. Zì Dima, finalmente liberato, è portato in trionfo.

Fedele d'Amico parla di capolavoro, mentre Massimo Mila, a sua volta, scrive: "La bellezza ed il successo di questo balletto stanno nell'espressione travolgente di ebbrezza dionisiaca, di pantagruelico buon umore, di incontenibile ed esuberante salute fisica". Gualtiero Frangini sul programma di sala del Teatro Comunale di Firenze (giugno 1957) parla di: "Balletto italiano che è anche ballet d'action , per la straordinaria capacità del coreografo di avventurarsi sul terreno del grottesco, della commedia, dell'ironia". Il coreografo in questione è Aurelio Milloss e la versione del balletto quella relativa al 1 giugno 1957 per il Teatro Comunale di Firenze, nell'ambito del XX Maggio Musicale Fiorentino, scene e costumi firmati da Renato Guttuso, (interpreti Angelo Pietri , Ludwig Durst, Olga Amati, Renè Bon). Altre versioni a New York, Metropolitan Opera House, 1927; Buenos Aires, Teatro Colon, 1927, coreografia di Bronislava Nijinska; Milano, Teatro alla Scala, 12 maggio 1949, coreografia di Margherita Wallmann, interpreti Gino Pessina, Giovanni Brinati, Luciana Novaro, Ugo dell'Ara, scene e costumi di Mario Vellani Marchi.


Fonti:
  • Alberto Testa, I Grandi Balletti, Repertorio di Quattro Secoli del Teatro di Danza, Gremese Editore, Roma 1991
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