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ROMEO E GIULIETTA
William Shakespeare
Quarto atto

SCENA I - La cella di Frate Lorenzo

Entrano FRATE LORENZO e PARIDE

FRATE LORENZO - Giovedì, dite?... Non c'è molto tempo.

PARIDE - Questa è la volontà del Capuleto,
il mio futuro suocero, e per me,
non avrei né motivo d'indugiare,
né di frenare questa sua premura.

FRATE LORENZO - M'avete confessato, tuttavia,
di non sapere quale sentimento
ha per voi la ragazza; e un tal procedere
non mi sembra normale. Non mi piace.

PARIDE - Ma lei non fa che lacrimare e piangere
la morte di Tebaldo, suo cugino,
e perciò non ho avuto molto tempo
per corteggiarla e parlarle d'amore;
e Venere, si sa, non può sorridere
in una casa dentro cui si piange.
Ora, frate, si dà che il padre suo
stimi che alla salute della figlia
sia pernicioso ch'ella resti immersa
così profondamente nel cordoglio;
sicché nella paterna sua saggezza
vuole affrettare l'ora delle nozze,
per arginarle l'onda delle lacrime,
che sarebbe da lei allontanata,
se non restasse sola con se stessa
a macerarsi con il suo dolore.
Ora sapete perché tanta fretta.

FRATE LORENZO - (Tra sé)
Così non conoscessi la ragione
per cui dovrebbe invece esser frenata!...

Entra GIULIETTA

PARIDE - Felice d'incontrarvi,
mia signora e mia sposa!

GIULIETTA - Così potrà forse essere, signore,
se sposa potrò essere.

PARIDE - Perché?
Così "potrà", mia cara, anzi "dovrà"
essere appunto giovedì mattina.

GIULIETTA - Sarà quel che ha da essere, sì, certo.
Sacra massima è questa: non c'è dubbio.

PARIDE - Siete venuta qui per confessarvi
da questo santo padre?

GIULIETTA - Darvi risposta a una tale domanda,
sarebbe come confessarmi a voi.

PARIDE - Non gli nasconderete che mi amate.

GIULIETTA - Voglio piuttosto confessare a voi
di amare "lui".

PARIDE - E a lui di amare me,
ne son certo.

GIULIETTA - Se mai dovessi farlo,
la cosa avrebbe certo più valore,
voi assente, che non a voi dinanzi.

PARIDE - Il tuo volto, mia povera creatura,
è sciupato dal troppo lacrimare.

GIULIETTA - Un bel meschino vanto, per le lacrime;
ché il mio viso era già abbastanza brutto
avanti di subire il loro oltraggio.

PARIDE - E tu gli rechi, con le tue parole,
un oltraggio maggiore delle lacrime.

GIULIETTA - Dire la verità, non è calunnia;
e, dopo tutto, questo volto è mio.

PARIDE - No, esso è mio, e tu l'hai calunniato.

GIULIETTA - Forse avete ragione a dir così,
perché infatti non appartiene a me.

(A Frate Lorenzo)

Padre santo, vi vien comodo adesso,
per confessarmi, o volete ch'io torni
all'ora di compieta?

FRATE LORENZO - Adesso, adesso, angustiata figliola.

(A Paride)

Monsignore, con vostro beneplacito,
dobbiamo restar soli per un po'.

PARIDE - Dio mi guardi dall'esser di disturbo
alle pratiche della divozione.
Giulietta, giovedì, di buon mattino
verrò a svegliarti. Fino a quel momento
accetta un casto bacio. Arrivederci.

(Esce)

GIULIETTA - Frate Lorenzo, ah!, chiudi quella porta,
e dopo vieni a piangere con me!
Non v'è speranza più, non v'è rimedio,
nessuno che mi possa dare aiuto!...

FRATE LORENZO - Ah, Giulietta, conosco la tua pena;
mi strazia più di quanto le mie forze
sappian tenere. Ho udito: giovedì
tu devi andare sposa a questo conte,
non c'è santo che possa ritardarlo.

GIULIETTA - Ah, non mi dire, frate, che lo sai,
e non sai cosa fare ad impedirlo!
Se nella tua saggezza
non riesci di darmi alcun soccorso,
non ti resta che riconoscer giusta
la mia risoluzione, e questa lama
vi porrà subito rimedio, adesso.
Dio ha legato il cuore di Romeo
a quello mio, e tu le nostre mani:
ebbene, prima che questa mia mano
che suggellasti a quella di Romeo
sia suggello d'un altro matrimonio,
e prima che un infame tradimento
rivolga il cuore mio verso un altr'uomo,
questo coltello darà morte a entrambi.
Perciò mi dia la tua lunga esperienza
qualche pronto consiglio; se no, guarda,
questo pugnale la farà da arbitro
fra me e l'estreme mie tribolazioni,
e saprà lui risolvere d'un colpo
quello che la tua età e la tua scienza
saranno stati incapaci di addurre
ad una degna e giusta conclusione.

Parlami, senza remore;
ché remora io non avrò a morire,
se offrirmi non saprà la tua parola
nessun altro possibile rimedio.

FRATE LORENZO - Calma, calma, figliola;
un filo di speranza io l'intravvedo,
ma tale che richiederà da te
una messa ad effetto disperata,
così com'è disperato l'evento
che vogliam prevenire.
Però se tu hai forza e volontà
di procurarti morte da te stessa,
piuttosto che sposare il conte Paride,
forse potrai sentirti anche disposta,
per scacciare da te quella vergogna,
ad esporre te stessa ad una prova
che con la morte ha molta somiglianza.
E dunque, se ti senti un tal coraggio,
io sono qui ad offrirti il mio rimedio.

GIULIETTA - Oh, piuttosto che andare sposa a Paride,
dimmi anche di precipitarmi giù
da quella torre, o d'andarmene sola
per le strade battute dai ladroni;
o d'appiattarmi in un nido di serpi,
o di restare, legata in catene,
con degli orsi ruggenti;
o di rimaner chiusa nottetempo
in un ossario pieno zeppo d'ossa
tutte sinistramente scricchiolanti,
di stinchi umani marci imputriditi,
di teschi sganasciati ed ingialliti;
o di calarmi in fondo d'una fossa
appena mo' scavata, e ricoprirmi
dello stesso sudario di quel morto:
tutte cose che, a udirle raccontare,
m'han sempre fatto morire di brividi,
e che adesso son pronta ad affrontare
senza paura, senza esitazione,
pur di restare la sposa illibata
dell'unico dolcissimo amor mio.

FRATE LORENZO - Allora senti: adesso torna a casa,
cerca di darti un'aria spensierata,
e accetta di sposare il conte Paride.
Domani, mercoldì, è la vigilia:

domani notte devi fare in modo
di restar a dormire sola in camera,
senza tenerti con te la nutrice.
Toh, prendi questa fiala; e appena a letto,
bevi il liquido in essa contenuto;
ti sentirai fluire nelle vene
subito un freddo umore soporifero;
il polso perderà il normale ritmo,
cessando a poco a poco di pulsare.
Non resterà calore, né respiro
a dar segno che sei ancora in vita.
Il roseo sulle labbra e sulle gote
si stingerà fino a farsi pallore,
come color di cenere; le palpebre
s'abbasseranno, come quando morte
cala a chiudere il giorno della vita.
Le membra, prive d'ogni movimento,
irrigidite, gelide, indurite,
prenderanno l'aspetto della morte;
ed in questa mortal rigidità,
che sarà solamente artificiale,
tu resterai per quarantadue ore,
dopodiché tornerai a svegliarti
come da un sonno placido e tranquillo.
Ma quando, all'alba, giungerà lo sposo
per farti alzare, ti crederà morta;
allora, com'è d'uso nel paese,
vestita dei tuoi abiti più belli,
e distesa scoperta nella bara,
sarai portata nell'antica cripta
dove giacciono tutti i Capuleti.
Intanto, prima che tu sia ridesta,
Romeo, saputo del nostro disegno
da un mio messaggio, sarà giunto qui
ad attender con me il tuo risveglio,
e nella stessa notte di domani
potrà condurti a Mantova con lui.
Così, se nessun ticchio subitaneo,
se nessun panico da femminuccia
la vinceranno sopra il tuo coraggio
all'atto di eseguire questo piano,
tu ti potrai sottrarre alla vergogna
che ti minaccia.

GIULIETTA - Dammi, dammi qua!
Oh, non parlarmi, padre, di paura!

FRATE LORENZO - Ecco, prendi. Ora va'. Rimani ferma
e serena nella tua decisione.
Io mando in fretta un mio fratello a Mantova
con una lettera per tuo marito.

GIULIETTA - Amore, dammi forza; la tua forza
sarà il mio aiuto. Caro padre, addio!

(Escono)

SCENA II - Stanza in casa Capuleti

Entrano CAPULETO, MONNA CAPULETI, la NUTRICE e due SERVI

CAPULETO - (A un servo, porgendogli un foglio)
Vammi a invitare tutte le persone
che sono scritte qui.

(Esce il 1° servo - Al 2° servo)
E tu, messere,
vammi a cercare venti buoni cuochi.

2° SERVO - Non ne avrai uno che non sia perfetto;
perch'io, signore, li esamino prima:
guardo se sanno leccarsi le dita.

CAPULETO - E con questo che provi?

2° SERVO - Eh, monsignore,
non è provetto cuoco di mestiere,
quello che non si sa leccar le dita;
perciò chi non si sa leccar le dita
con me non verrà mai a lavorare.

CAPULETO - Bravo. Va', adesso. Ho paura che in casa
non avremo provviste sufficienti...

(Alla Nutrice)

Mia figlia è andata poi da Fra' Lorenzo?

NUTRICE - Sì, certo.

CAPULETO - Beh, può darsi che le giovi.
Che creatura ostinata, dispettosa!

Entra GIULIETTA

NUTRICE - Eccola qua che torna. Confessata:
guardate che aria allegra.

CAPULETO - Dunque, dunque,
dove è stata la nostra testadura?

GIULIETTA - Dove ho imparato come ravvedermi
del peccato d'aperta ribellione
a voi ed alle vostre volontà;
il buon Frate Lorenzo m'ha ordinato
d'inginocchiarmi qui, davanti a voi,
e domandarvi un paterno perdono.
Vogliate perdonarmi, vi scongiuro!
D'ora innanzi mi lascerò guidare
solo da voi.

CAPULETO - (Alla moglie)
Manda a chiamare il conte.
Anzi, vacci tu stessa di persona,
digli che voglio che questo legame
venga annodato domattina presto.

GIULIETTA - L'ho già incontrato io, il giovin conte,
era alla cella di Frate Lorenzo,
e gli ho dato la prova d'affezione
che potevo, e che lì si conveniva
entro i limiti della pudicizia.

CAPULETO - Ah, son contento. Brava. Molto bene.
Alzati, su. Così doveva andare.
Voglio vedere il conte, eh, sì, perbacco.
Vacci, ho detto, e conducimelo qui.
Ed ora, lo dichiaro avanti a Dio,
tutta Verona dev'essere grata
a questo santo e venerando frate!

GIULIETTA - Nutrice, vuoi venir nella mia camera
ad aiutarmi a sceglier gli ornamenti
più adatti al mio vestito di domani?

MONNA CAPULETI - Ma fino a giovedì c'è ancora tempo.

CAPULETO - No, no, nutrice, va' pure con lei,
perché domani stesso si va in chiesa.

(Escono Giulietta e la Nutrice)

MONNA CAPULETI - Piuttosto, siamo a corto di provviste.
E ormai è quasi notte.

CAPULETO - Macché, moglie!
Ora ci penso io a darmi attorno,
e vedrai che sarà tutto per bene.
Va' da Giulietta, e aiutala a vestirsi.

Io, stanotte, a dormire non ci vado.
Tu lascia fare a me; per una volta
farò io da massaia in questa casa...
Ehi, gente, oh!... Com'è, son tutti fuori?
Ebbene, vado io dal conte Paride,
a dirgli di disporsi per domani.
Mi sento il cuore assai più sollevato,
ora che quella bimba capricciosa
ha così messo la testa a partito.

(Esce)

SCENA III - La camera da letto di Giulietta

Entrano GIULIETTA e la NUTRICE

GIULIETTA - Sì, quello lì è il vestito più adatto...
Ma ti prego, nutrice, sii gentile,
stanotte proprio vorrei restar sola;
ho gran bisogno di raccoglimento
per pregar molto e commuovere il cielo
perché sorrida benigno al mio stato,
ch'è così contrariato, come sai,
e pieno di peccato.

Entra MONNA CAPULETI

MONNA CAPULETI - Ebbene, donne,
siete occupate, eh? Volete aiuto?

GIULIETTA - No, grazie, madre. Abbiamo scelto tutto
quanto era necessario e conveniente
pel mio abbigliamento di domani.
Perciò, se non vi spiace, madre mia,
consentite che io, per questa notte,
rimanga sola, e che la mia nutrice
resti con voi, perché sicuramente,
avrete da sbrigare molte cose
per un evento così improvvisato.

MONNA CAPULETI - Va bene, buona notte, figlia mia.
Mettiti a letto; ce n'avrai bisogno.

(Escono Monna Capuleti e la Nutrice)

GIULIETTA - Addio!... Dio sa quando ci rivedremo...
Sento scorrermi per le vene un tremito
di paura, non so, che mi dà il senso

di raggelarmi il calor della vita...
Le richiamo, per sollevarmi un po'...
Nutrice!... Già, ma che farebbe, qui?
Per recitar la mia macabra scena
devo agire da sola... Vieni, o fiala!...
E se per caso, poi, questa mistura
non dovesse produrmi alcun effetto?...
Dovrò sposarmi domattina?... No!
Ci sarà sempre questo ad impedirlo!

(Prende un pugnale e se lo pone accanto)

Tu resta qui... E se fosse un veleno
che il frate m'ha somministrato apposta,
astutamente, per farmi morire,
e non sentirsi lui disonorato
per queste nozze, essendo stato lui
a maritarmi prima con Romeo?
Ho paura che sia proprio così...
Eppure, no, a pensarci, non può essere...
s'è dimostrato sempre un tal sant'uomo...
Ma che succederà, Vergine Santa,
se, messami a giacer nella mia tomba,
mi dovesse accadere di svegliarmi
avanti che Romeo venga a salvarmi?...
Ah, che dubbio terribile è mai questo!
Non potrò rimanere soffocata
in quella tetra sotterranea volta,
attraverso la cui fetida bocca
non entra un filo d'aria salutare,
e, prima ancor che giunga il mio Romeo,
là morire asfissiata?... E se sto viva,
non può darsi che la notturna tenebra
e l'orrido pensiero della morte
e il terrore del luogo - quella cripta
antico sotterraneo ricettacolo
dove l'ossa di tutti gli avi miei
per secoli si sono ammonticchiate;
dove Tebaldo, ancora sanguinante,
che poc'anzi era verde sulla terra,
s'imputridisce già nel suo sudario...
e dove a una cert'ora della notte,
come dicono, appaiono gli spiriti...
ohi! ohi!... se mi svegliassi innanzi tempo,
che potrebbe succedere di me,
in mezzo a quel nauseabondo lezzo
ed a stridii che paion di mandragole
quando sono divelte dalla terra,

e che fanno impazzire chi li ascolta?...
Oh, Dio, se mi svegliassi in quel momento,
circondata da tutti quegli orrori,
non rischierei d'uscire fuor di senno,
da mettermi a giocare, come pazza,
con l'ossa dei miei avi?...
Ed a strappar dal suo lenzuolo funebre
il martoriato corpo di Tebaldo?
E in questo eccesso di pazzia furiosa
brandire un osso di qualche antenato,
e con quell'osso, a guisa d'una clava,
farmi schizzar le spente mie cervella?
Oh, ecco, ecco, ch'io vedo lo spettro
di mio cugino che insegue Romeo
che l'ha infilzato... No, ferma, Tebaldo!
Eccomi a te, Romeo. Lo bevo a te.

(Ingerisce il contenuto della fiala
e cade riversa sul letto)

SCENA IV - La sala grande di casa Capuleti

Entrano MONNA CAPULETI e la NUTRICE

MONNA CAPULETI - Tieni Nutrice, prendi queste chiavi
e va' di là a cercar delle altre spezie.

NUTRICE - In cucina, per la pasticceria,
chiedono datteri e mele cotogne.

Entra CAPULETO

CAPULETO - Muovetevi! Muovetevi! Due volte
ha già cantato il gallo. La campana
del coprifuoco ha suonato: son le tre.
Tu, mia buona Angelica,
provvedi per le torte e gli sfornati,
e non badare a spese.

NUTRICE - Andatevene a letto voi, piuttosto,
smettete di rubar l'altrui mestiere:
se ancor restate in piedi tutta notte
domattina vi sentirete male.

CAPULETO - Mi sentirò benissimo, al contrario.
Per men gravi ragioni,
son stato in piedi notti sopra notti,
al mio tempo, e non son mai stato male.

MONNA CAPULETI - Eh, certo, che sei stato un gran gattone
ai tempi tuoi! Ma adesso ci son io
a badar che non fai certe nottate!

(Escono Monna Capuleti e la Nutrice)

CAPULETO - Ora c'è lei, Madama La Gelosa!

Entrano SERVI con spiedi, legna e canestri

Che cos'è quella roba, giovanotto?

1° SERVO - È roba per il cuoco, monsignore;
ma a che serva, non so.

CAPULETO - Presto, sbrighiamoci.

(Esce il 1° Servo)

Tu, amico, va' a cercare della legna,
ben secca e stagionata. Chiama Pietro,
ti dirà lui dove potrai trovarla.

2° SERVO - Ho anch'io, signore, un capo sulle spalle
capace di trovare legna secca
senza bisogno di seccare Pietro.

CAPULETO - Toh, sentilo, il faceto birboncello!
Ti chiameremo allora "coccia secca"!
Oh, ma qui si fa giorno,
e fra non molto il Conte sarà qui
coi musicanti, come aveva detto...

(Musica di dentro)

Eccoli, infatti, arrivano!
Nutrice! Moglie! Olà, moglie, nutrice!

Entra la NUTRICE

(Alla Nutrice)
Va' a svegliare Giulietta,
e aiutala a vestirsi e ad abbigliarsi.
Io vado intanto a intrattenere Paride.
Ma vedi di sbrigarti. Presto! Presto!
Lo sposo è già venuto. Presto, dico!

(Escono)

SCENA V - La camera di Giulietta

Giulietta è distesa sul letto

Entra la NUTRICE

NUTRICE - Padroncina!... Padrona!... Su, Giulietta!...
Perbacco, se la dorme della grossa!
Sveglia, agnellino mio, madamigella!
Ah, dormigliona!... Sveglia, dico, amore!
Signora, cuore mio, signora sposa!
Come sarebbe... perché non rispondi?
Ho capito, vuoi farti la provvista.
Vuoi dormire per una settimana;
perché stanotte, te lo garantisco,
il conte già riposa sull'idea
di farti riposare molto poco.
Dio mi perdoni, Vergine Santissima,
certi pensieri... Ma che sonno duro!
Però debbo svegliarla, ad ogni costo.
Madamigella, su, madamigella!
Sì, sì, fatti trovare ancora a letto
dal conte Paride, vedrai che sveglia
ti darà lui allora, e che spavento!
Oh, no!... Ma come mai! Tutta vestita?
Ti sei vestita, e poi di nuovo a letto?...
Eh, ma bisogna proprio che ti svegli.
Signora, su... signora, su, signora!...
Oh, Dio! Oh, Dio! Aiuto! Aiuto! Aiuto!
La mia padrona è morta!... Oh, che disgrazia!
Oh, non fossi mai nata!... Ohilà, voialtri!
Dell'assenzio!... Signore mio! Signora!...

Entra MONNA CAPULETI

MONNA CAPULETI - Che sono queste grida?

NUTRICE - Oh, che disgrazia!

MONNA CAPULETI - Che c'è, che è stato?

NUTRICE - Guardate! Guardate!
O giorno maledetto!

MONNA CAPULETI - Oh, me infelice!
Misera me! bambina mia! Mia vita!
Torna in vita, riapri gli occhi, guardami,
o ch'io muoio con te!... Soccorso! Aiuto!
Chiamate aiuto!

Entra il CAPULETO

CAPULETO - Che vergogna è questa?
Fate scender Giulietta. Il suo signore
è già arrivato.

NUTRICE - Ma Giulietta è morta!

CAPULETO - Lasciate che la veda... Oh, Dio! Già fredda.
Fermo il polso, le membra irrigidite,
la vita e queste labbra son disgiunte
da un pezzo; è scesa su di lei la morte,
come una brina fuori di stagione
sul fiorellino più dolce del campo.

NUTRICE - Oh, sciagurato giorno!

MONNA CAPULETI - Ah, che dolore!
La morte, che me l'ha portata via
per farmi urlare, mi lega la lingua
e non mi fa parlare. Ah, che dolore!

Entrano FRATE LORENZO e PARIDE, con musici

FRATE LORENZO - Allora è pronta la nostra sposina
per recarsi in cappella?

CAPULETO - Pronta, sì,
Frate Lorenzo, ahimè,
ma per non fare di là più ritorno!

(A Paride)
Figlio, la notte avanti alle tue nozze
la Morte s'è giaciuta con tua moglie.
Eccola là distesa: un vago fiore
deflorato dal suo funesto amplesso.
È la morte il mio genero, oramai,
essa il mio erede: ha sposato mia figlia;
e a lei dovrò lasciare, in morte mia,
sostanze, vita, beni: è tutto suo.

PARIDE - Ho dunque atteso tanto questo giorno
perché m'offrisse un simile spettacolo?

MONNA CAPULETI - Oh, giorno maledetto, sciagurato,
odioso, abominevole! O momento
il più atroce che il tempo abbia mai visto
nel corso dell'eterno suo cammino!
Io non avevo che questa creatura,
povera, sola, adorata bambina,
unica cosa al mondo della quale
potessi compiacermi e consolarmi,
e la morte crudele l'ha strappata
agli occhi miei!

NUTRICE - O giorno di sventura,
il più tristo ch'io abbia mai vissuto!
O giorno, giorno, detestato giorno!
Mai vidi giorno più nero di questo.
O disgraziato, disgraziato giorno!

PARIDE - Tradito, divorziato, contrastato,
coperto di disprezzo, assassinato!
Morte esecrabile, tu m'hai tradito,
rovinato per sempre, crudelissima!
O amore! O vita!... No, non c'è più vita,
e sol riposto è nella morte amore!

CAPULETO - Oppresso, disprezzato, torturato,
odiato, ucciso! O sorte sciagurata,
hai voluto distruggere così
la nostra festa!... Figlia, figlia mia!
Anima, più che figlia, anima mia!
Morta!... La mia bambina non c'è più,
e con lei è sepolta ogni mia gioia!

FRATE LORENZO - Pace, pace, signori!
Non si curano i mali coi lamenti.
Il cielo e voi aveste parte insieme
a far questa fanciulla,
ed ora il cielo l'ha tutta per sé;
ed è meglio per lei che sia così:
voi non potreste togliere alla morte
la parte vostra, il ciel serba la sua,

e la mantiene nella vita eterna.
Non era vostra somma aspirazione
il vederla salir sempre più in alto,
e trovar nella sua elevazione
il vostro paradiso sulla terra?
Ed ora che è salita tanto in alto,
oltre le nubi, al vero paradiso,
voi piangete? Se è questo l'amor vostro
per vostra figlia, è un amore distorto
perché impazzisce a saperla felice.
Ben maritata non è quella donna
che vive a lungo in stato maritale;
meglio sposata è quella
che morte coglie ancor giovane sposa.
Asciugate perciò le vostre lacrime
e cospargete questa bella salma
di rosmarino, e portatela in chiesa,
vestita delle sue più belle vesti,
com'è l'uso; ché se pur la natura,
sensibile com'è, ci spinga al pianto,
le lacrime che muove la natura
son motivo di riso alla ragione.

CAPULETO - Tutti i preparativi da noi fatti
per la festa, distratti dal lor fine,
servano adesso a un tetro funerale;
siano i nostri strumenti musicali
meste campane; sia funerea pompa
la nuziale allegria; nenie di morte
siano i nostri imenei; servano i fiori
della sposa ad ornarne il cataletto:
ogni cosa si muti nel suo opposto.

FRATE LORENZO - Vogliate ritirarvi, ora, signore;
e voi con lui, signora; ed anche voi,
signor Paride; ognuno si prepari
a scortar questa salma alla sua tomba.
I cieli già vi guardano accigliati
per qualche vostra colpa; state attenti
a non accrescere il loro dispetto
ribellandovi al loro alto volere.

(Escono Capuleto, Monna Capuleti, Paride e Frate Lorenzo - La Nutrice e i Musici cospargono di fiori il letto di Giulietta e ne tirano le cortine del baldacchino)

1° MUSICO - Beh, possiamo riporre gli strumenti
e andarcene.

NUTRICE - Sì, certo, brava gente,
ah!, riponeteli, sì, riponeteli,
perché potete vederlo voi stessi
che miserevole vicenda è questa,
che ci ha lasciato un vuoto doloroso.

(Esce)

1° MUSICO - (Indicando il suo stomaco)
Sì, ma al vuoto si può porre rimedio.

Entra PIETRO

PIETRO - Musici, oh!, non ve ne andate, musici!
Suonate, per favore, "Cuor contento",
se mi volete dare un po' di vita,
suonate "Cuor contento", per favore!

1° MUSICO - "Cuor contento"? Perché?

PIETRO - Oh, musicanti,
perché il cuore mi suona "Cuore in pianto";
perciò suonatemi un motivo allegro,
per confortarmi.

1° MUSICO - Ma nemmen per sogno!
Non è questo il momento di far musica.

PIETRO - Non volete suonare, allora?

1° MUSICO - No!

PIETRO - E allora ve lo suono io.

1° MUSICO - Che cosa?

PIETRO - Non denaro sonante, certamente;
ma vi suonerò in faccia uno sberleffo:
quello di menestrelli strimpelloni.

1° MUSICO - E io a voi quello di zerbinotto.

PIETRO - E io farò suonare la mia daga
di zerbinotto sopra la tua zucca,
e senza pause, ed a battute piene
ti do del "re" e del "fa". Prendine nota!

1° MUSICO - Sei tu che devi prenderla, la nota,
se dici che ci dai del "re" e del "fa".

2° MUSICO - Metti via quella daga, per favore,
e tira fuori invece un po' di spirito.

PIETRO - Allora state in guardia, col mio spirito,
se rimetto nel fodero la daga:
è uno spirito duro come il ferro.
Rispondete da uomini ai suoi colpi:

"Quando un dolore ti ferisce il cuore,
"e dolorose nenie opprimon l'anima,
"la musica col suo suono d'argento..."

Ecco: perché "col suo suono d'argento"?
Come rispondi tu, Simon Cantino?

1° MUSICO - Chiaro: perché l'argento ha un dolce suono.

PIETRO - Buona! E tu che rispondi, Ugo Ribeca?

2° MUSICO - Dico... vediamo un po': "suono d'argento",
perché i musici suonan per l'argento.

PIETRO - Buona anche questa! Sentiamo ora te,
Giacomino dell'Anima, che dici?

3° MUSICO - In coscienza, non so proprio che dire.

PIETRO - Ah, scusami! Tu sei quello che canta!
Vuol dire che rispondo io per te.
Si dice "musica dal suon d'argento"
per via che i musici, in generale,
non sentono suonar monete d'oro,

"E allor la musica dal suon d'argento
"fa loro subito il cuor contento".

(Esce)

1° MUSICO - Che mariuolo pestifero è costui!

2° MUSICO - Impiccatelo, pezzo di furfante!
Andiamo, adesso, passiamo di là,
aspetteremo che venga la gente
che dovrà prender parte al funerale,
e resteremo qui pel desinare.

(Escono)

Terzo atto
 
 

 

 

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