Isadora Duncan

La californiana Isadora Duncan (San Francisco, 27 maggio 1877 – Nizza, 14 settembre 1927) è considerata, con ottime ragioni, l’antesignana della danza moderna. Ultima dei quattro figli di madre irlandese e padre scozzese (il quale, a causa di uno scandalo bancario abbandonò la famiglia quando Isadora aveva appena tre anni), trascorse gli anni dell’infanzia tra le note dei brani di musica classica suonati dalla madre pianista. L’acuta sensibilità artistica della famiglia fece sì che potesse essere influenzata dalle teorie sulla mimica di F. Delsarte (1811-1871) e, già a partire da quegli anni, venne educata in quello spirito di libertà e indipendenza che caratterizzò tutta la sua vita.

Ebbe un’esistenza molto movimentata nella quale si alternarono successi artistici, delusioni personali ed eventi tragici. Fra questi ultimi è d’obbligo ricordare la morte prematura e contemporanea di Deirdre e Patrick, i suoi due figli, che nel 1913, rispettivamente a 7 e 3 anni, annegarono nella Senna insieme alla governante. Donna emancipata, nel corso della sua vita trascorsa prevalentemente in Europa, ebbe intense relazioni affettive, fra cui quella con il regista e attore Edward Gordon Craig, dal quale ebbe la figlia Deirdre; quella con il facoltoso industriale Paris Singer (figlio del fondatore della celebre impresa di macchine da cucire) con il quale mise al mondo Patrick; e, infine, quella con il celebre poeta sovietico Sergej Esenin, di diciotto anni più giovane, che conobbe nel 1921 nello studio del pittore Aleksej Jakovlev durante la sua permanenza in Russia.

Isadora Duncan e Sergej Esenin nel 1923

Isadora Duncan sposò Esenin il 2 maggio del 1922. La Duncan conosceva solamente una dozzina di parole in russo ed Esenin non parlava alcuna lingua straniera. Insieme girarono Europa e America, ma la loro burrascosa relazione si concluse l’anno successivo ed Esenin rientrò nella madre patria. Due anni dopo si suicidò in circostanze controverse.

Negli ultimi anni della sua vita, la fama che l’aveva sempre accompagnata iniziò a declinare. I critici che commentarono la sua ultima tournée in America la stroncarono per i suoi capelli tinti e la figura appesantita. Tornò quindi in Europa, dividendosi prevalentemente fra Nizza e Parigi. Spesso ubriaca e con gravi problemi economici, morì in circostanze tragiche il 14 settembre 1927 a Nizza. Le frange della sciarpa che indossava rimasero impigliate nei raggi delle ruote della Bugatti decapottabile da corsa sulla quale era appena salita. Rimane celebre la frase che aveva appena indirizzato come saluto agli amici: «Adieu, mes amis, Je vais à la gloire» (“Addio, amici, vado verso la gloria”), sebbene sia un falso, dato che Mary Desti, l’amica che aveva divulgato questo dettaglio, confidò successivamente allo scrittore Glenway Wescott di aver mentito. Probabilmente, le ultime parole che la Duncan pronunciò furono «Je vais ò l’amour» (che si possono tradurre sia come “Sono innamorata” che come “Vado verso l’amore”) riferendosi a Benoit Falchetto, il proprietario dell’auto con la quale stava tornando verso il proprio albergo. Quando Gertrude Stein, che conosceva bene la danzatrice, seppe della sua tragica quanto inusuale morte, commentò laconicamente: «Affectation can be dangerous» (“Certi vezzi possono risultare pericolosi”).

Il suo corpo venne cremato e le sue ceneri riposano nel cimitero del Père-Lachaise a Parigi.

Nel 1968, per la regia di Karel Reisz e l’interpretazione di Vanessa Redgrave, fu realizzato il film Isadora, ispirato alla biografia della celeberrima artista. Il 30 aprile 1981, invece, si teneva la prima rappresentazione del Balletto Isadora, creato dal coreografo Kenneth Mac Millan, con musiche di Richard Rodney Bennett.

La carriera artistica. Isadora Duncan iniziò a esibirsi verso la fine dell’Ottocento negli Stati Uniti, senza peraltro riscuotere grande successo. Nel 1900 danzò a Londra e fu la prima di una lunga serie di esibizioni nel continente europeo, dove ottenne l’ammirazione di molti artisti e intellettuali dell’epoca. Fu l’artefice prima di una radicale rottura nei confronti della danza accademica: nei propri spettacoli abolì le scarpette da punta, che considerava innaturali, e gli artificiosi costumi indossati dalle ballerine del XIX secolo, preferendo indossare abiti semplici e leggeri, ispirati al peplo dell’antica Grecia, e danzando a piedi nudi. Entrambe queste scelte si coniugavano con la sua necessità di favorire la libertà e l’espressività dei movimenti. Quella della Duncan era una visione diversa della danza classica: per lei, infatti, l’aggettivo “classica” è da intendersi come “ellenica” e, proprio liberandosi degli “strumenti di costrizione” delle ballerine tradizionali, ritrovava il contatto con le radici, con l’energia vitale della terra. Liberando il busto dai rigidi e stretti corpetti, permetteva al ventre di pulsare. Sciolse i capelli, mostrando un corpo nudo velato solo da leggere tuniche.

Isadora DuncanLe sue “danze libere” furono interpretazioni emotive, se vogliamo “impressionistiche”, delle composizioni, non create appositamente per il balletto, di celebri musicisti come Frederick Chopin, Ludwig van Beethoven, Christopher Willibald Gluck, nelle quali sopperiva alla povertà dei mezzi tecnici con il suo corpo dolce ed espressivo. E la sua riforma della danza fu drastica e completa. All’inizio del XX secolo, la danza è ancora schiava della perfezione e dell’ordine, chiusa in una tecnica fine a se stessa. Un’arte decorativa, disumanizzata, futile e graziosa che non implicava alcuna partecipazione umana. La danzatrice californiana rese possibile il rinnovamento dell’arte di Tersicore in Occidente favorendo la liberazione del movimento corporeo. Il corpo viene visto come capace di comunicare emozioni, ma anche come espressione visibile dell’anima e dello spirito. La sua era una visione religiosa della danza come della vita. Voleva «una danza che fosse, attraverso i movimenti del corpo, espressione divina dello Spirito umano».

La Duncan desiderava fortemente creare la danza del futuro ispirandosi alla plasticità dell’arte greca e basandosi sul sentimento e la passione dettati dalla natura e dalla forza della musica. La figura di questa danzatrice è di straordinaria importanza nella storia della danza, sia per l’interesse che seppe suscitare nelle platee di tutto il mondo, sia – forse soprattutto – per le sue idee realmente rivoluzionarie per la loro epoca, idee che furono di ispirazione per i suoi successori e diedero l’impulso per la ricerca e la creazione di nuove tecniche diverse da quella accademica e per una nuova concezione della danza teatrale. Seppure in un modo un po’ confuso e non ben definito, Isadora Duncan indicò la via ai creatori della danza moderna: Ruth Saint-Denis, Ted Shawn, Martha Graham, Mary Wigman, Rudolf von Laban, Doris Humphrey e altri. Tutti artisti che, per mezzo di molteplici linguaggi e scelte creative, furono animati dalla volontà di ricercare moduli espressivi originali, movimenti che eliminassero l’artificiosità della scissione tra forma e contenuto, fra esteriorità e interiorità.

A Isadora Duncan possiamo far risalire due importanti tendenze della danza in teatro del Novecento: la modern dance americana, che ha tratto linfa vitale dal rifiuto di ogni accademismo, e il cosiddetto balletto sinfonico – ispirato da partiture musicali non espressamente prodotte per il balletto – che, a partire dagli anni Trenta, vedrà in Massine prima e in Balanchine poi i principali propugnatori.

Nella sua autobiografia, My Life (in italiano, La mia vita), scrisse: «I realised that the only dance masters I could have were Jean-Jacques Rousseau (“Emile”), Walt Whitman and Nietzsche» (“Mi resi conto che i soli maestri di danza che potessi avere erano il J.J: Rousseau dell’Emile, Walt Whitman e Nietzsche”.

L’influenza di Isadora Duncan si estese anche ai Ballet Russes di Sergei Diaghilev. Lo stesso Diaghilev e Mikhail Fokine la videro danzare per la prima volta nel 1905 a Pietroburgo e ne rimasero fortemente impressionati. Quello fu per Isadora un periodo di grandi successi internazionali. Qualche anno dopo ritornò in Russia, accogliendo l’invito di Lenin per aprire una scuola di danza a Mosca.

La visione che la Duncan aveva della sua arte è sinteticamente descritta da queste parole, tratte dal suo Lettere alla danza:

Per me la danza non è soltanto arte che esprime l’anima umana attraverso il movimento, ma è anche il fondamento di una concezione totale della vita, di una vita più libera, più armoniosa, più naturale. Quelle posizioni sgraziate e innaturali non esprimono assolutamente lo stato di abbandono dionisiaco, che ogni danzatore dovrebbe conoscere… inoltre i movimenti genuini non sono inventati, ma riscoperti… il principio unico e fondamentale sul quale ho buona ragione di basarmi è l’ unità ritmica presente in tutte le manifestazioni della Natura… e sempre inserisco nei miei movimenti un po’ della continuità divina che dà a tutta la Natura la sua bellezza e la sua vita… per me la danza ha come meta l’espressione dei sentimenti più alti, profondi dell’ anima umana, quei sentimenti che nascono dagli dei che vivono in noi, da Apollo, Pan, Bacco, Afrodite… la danza deve infondere in noi un’ armonia ardente e palpitante “.


A cura di Alberto Soave


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