Carla Fracci

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Carla Fracci ritratta da Fiorenzo Niccoli

Era il 1969 quando Carla Fracci venne a Genova al Teatro Comunale dell’Opera. Devo essere onesta non ricordo se in quell’occasione presentò Giselle o un altro balletto, né sono riuscita a trovare notizie a riguardo su internet, quello che è certo è che ho avuto l’occasione di conoscerla personalmente, stringerle la mano e prendermi anche un bacino sulla guancia.

Avevo 10 anni e da quando ne avevo 4 frequentavo la Scuola di Danza Classica di Mario Porcile in Piazzetta Luccoli 23. Carla Fracci era un mito per tutte noi bambine che studiavamo danza, ma diciamolo pure, è ancora un mito per tutte le danzatrici, dal momento che la “signora della danza italiana” è ancora assolutamente attiva nella sua professione. Ma veniamo all’incontro partendo dall’inizio.

Mia madre in quel periodo si era invaghita di una mia compagna di danza di nome Elisabetta, Betty per gli amici. Questa Betty era più grande di me di 5 anni, che a quell’età sono molti e costituiscono una bella differenza di aspetto. Vale a dire: io ero una marmocchia e Betty era una ragazza bella, anzi una strafiga che tutti i ragazzi si giravano a guardare sia per le strade della città che al mare dove ce la portavamo costantemente dietro. La mamma forse aveva bisogno di relazionarsi con una figlia più grande per questo l’aveva scelta come nuovo membro della famiglia. Io e mi sorella, che a quei tempi aveva solo 6 anni, non la potevamo vedere questa Betty che ci portava via la mamma. A lei erano riservati i regali più belli, i piatti più prelibati e soprattutto tutte le attenzioni di cui invece avevamo bisogno noi due. Probabilmente la mamma non sapeva di farci un torto, né di farci star male e continuava a non curarsi di noi dedicando tutto il tempo a Betty, bella, ma capricciosa all’estremo. Mio padre (sant’uomo) sopportava la presenza di questa intrusa in famiglia come sopportava tutto di nostra madre, prendendo anche questa infatuazione come l’ennesima stramberia della moglie.

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Carla Fracci ritratta da Fiorenzo Niccoli

Fatto sta che un giorno la mamma si mise in testa di presentare la sua pupilla a Carla Fracci. Colse l’occasione che l’etoile venisse a Genova per fare intercedere per questo incontro la mia madrina di Cresima, la nota attrice cinematografica Eleonora Rossi Drago, che, amica della Fracci, ottenne la concessione da parte di questa di ricevere mamma e Betty nella sala prove del Teatro Comunale dell’Opera di Genova. A Betty non fregava niente della Fracci, il suo scopo era di entrare a far parte dell’Accademia di danza del Teatro alla Scala dove ambiva stabilirsi per intraprendere la carriera di ballerina classica. La Fracci si rese subito conto di quanto capricciosa era quella ragazza e dopo averle fatto fare qualche esercizio alla sbarra, sentenziò che la ragazza non era ancora pronta per entrare alla scuola di ballo più prestigiosa del mondo dopo il Bolshoi di Mosca.

Ci rimasero con un palmo di naso in due, mia madre e Betty, e a quel punto sono entrata in scena io. Erano circa le 12,30 la mattinata scolastica era finita e io avevo raggiunto la mamma all’appuntamento come mi aveva detto di fare. La cartella rossa sulle spalle, i capelli lunghi e lisci tenuti su da una fascia di filanca rossa intorno alla testa, calzettoni di lana fino alle ginocchia ed una gonna scozzese che ancora ricordo pizzicarmi le cosce. Un grambiulino bianco con fiocco rosa sul collo e l’aria da “patatona“ di sempre. Busso piano alla porta della sala prove e a breve sento un voce di donna dire: “Avanti”. Lei era là, a un metro da me, la Carla nazionale! come una regina, con i suoi scaldamuscoli di lana rosa che le arrivavano fino all’inguine, una vestaglia intorno al corpo e quel viso d’angelo che ne faceva la sola degna di essere considerata la vera e diafana Giselle morta per amore. Mi guarda con simpatia (cosa che invece non era per nulla nei confronti di Betty) e mi fa cenno con la mano: “Avvicinati, piccina. Come ti chiami? Fai anche tu danza?” al mio cenno di sì con la testa, si rivolge a mia madre e le dice: “Mi mandi lei a Milano, la bambina ha l’età giusta e il giusto fisichino per entrare alla Scala”. Mia madre rimase imbarazzata scoprendo di aver sbagliato cavallo da corsa su cui puntare, ma soprattutto perché pensava che questo fatto metteva in disparte la sua Betty. Uscite deluse le due avevano la testa bassa, mentre io ero al settimo cielo! La Fracci voleva me a Milano, non la Betty. Finalmente una rivincita per “la piccola fiammiferaia”. Morale della favola Betty poi andò a studiare per un periodo al San Carlo di Napoli, ma poi alla Scala riuscì ad entrarci egualmente, malgrado i pronostici della Fracci, mentre a me, quella col fisichino giusto, non è mai stato concesso neppure di provare ad entrare all’Accademia milanese. Quando adesso ricordo questo alla signora Fracci sorride e mi dice: “Cosa ti importa, si vede che il tuo percorso era un altro. Adesso tu scrivi della danza e questa è una carriera che non ha fine”.

[Da: Francesca Camponero, Incontri – davanti e dietro le quinte, cap. II, Montag Edizioni, 2015 (Epub, Liber Iter, 2015]

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