La riduzione dei posti nelle platee dei teatri fa capire una cosa: che la cultura fa ancora paura

Nel maggio scorso nei giornali si parlava di una crisi dei lavoratori dello spettacolo che cominciava a diventare “tragedia”. Un articolo fra i tanti denunciava  che secondo alcuni addetti  i numeri parlano chiaro: “quella cui si sta assistendo nel mondo dello spettacolo è una fase di stallo che sta portando a grosse perdite in termini economici, oltre che a un immobilismo professionale che non si vedeva da anni. L’emergenza sanitaria da Corona-virus sta danneggiando il settore della danza, della recitazione, della musica, tutti comparti che anche a livello istituzionale non sono riconosciuti. E, non per ultimo, quello dei live. Secondo i dati raccolti da Enpals e dalla Fondazione Symbola, in questo momento ci sono tra le 300.000 e le 380.000 persone legate al mondo dello spettacolo e della cultura che in Italia non stanno lavorando. Due anni fa, il rapporto stilato dalla Siae parlava di 7.794.399 presenze nel settore, di cui 82.641 erano organizzatori di eventi. Si parla degli attori, ma non dimentichiamo a tutto un comparto dietro che va dagli sceneggiatori aio truccatori, passando per macchinisti e operatori che si trova a casa come tutti e senza un contratto. Lo stato che per ora sta dimostrando totale disinteresse per tutto il settore spettacolo ha mortificato anni di lavoro e fatica. Ci sono artisti e operatori che sono fermi e saranno fermi per molto più tempo rispetto ad altri e questo non viene calcolato”.

“Ha da passà a nottata” diceva Eduardo De Filippo.

Ma questa nottata non finisce mai. Adesso l’ultimo Dpcm che prevede una limitazione nelle capienze per i Teatri portandola ad un massimo di 200 spettatori ed una chiusura entro le 23, mette ulteriormente in ginocchio un settore fortemente penalizzato. Ci chiediamo come mai si sia arrivati a decidere una cosa talmente folle che non tiene affatto  in conto la capienza volumetrica delle sale. Questa ulteriore restrizione peggiorerà la situazione di teatri e teatranti non permettendo alcuna sostenibilità economica alla maggior parte di essi. Mentre va fatto presente che nel contempo vi sono ambienti socio-produttivi nei quali il rischio contagio è molto maggiore e che invece sembrerebbero non subire particolari restrizioni.

Sorge spontaneo chiedersi il perché da parte di chi ci governa ci sia tanto accanimento verso il settore della cultura. Il problema Covid esiste, e nessuno lo vuole negare, ma come mai in bus, metro e treni,  stracolmi di persone, con passeggeri che tengono mascherine più o meno ben sistemate, il problema distanziale è tenuto in minor conto ed invece è di vitale importanza nelle platee dei teatri ?

Non vorrei sembrare una complottista, ma il primo pensiero che mi viene in testa è che la cultura continua evidentemente ad essere un pericolo per chi sta decidendo la sorte di ogni cittadino in questo momento. Ricordiamo che i teatri attraverso i loro spettacoli sono diffusori di pensiero. Oggi pensare e aprire la propria mente sembra non essere più concesso. Attraverso la paura della diffusione del  Covid, si sta arrivando a limitare le libertà di ognuno attraverso direttive impositive che non hanno alcun senso. Purtroppo il romanzo di  George Orwell sta diventando realtà, ma sono pochi ancora a rendersene conto.

Francesca Camponero

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