Nessun protagonista in Petruška di Sieni, siamo tutti marionette

Teatro pieno venerdì sera al Mdena di Genova per la rilettura di Petruška da parte di Virgilio Sieni. Come affermava Stravinskij, Petruška rappresenta “l’eterno infelice eroe di tutte le fiere, di tutti i paesi” che sfida i suoi spettatori sin dal debutto al Théâtre du Châtelet nel giugno 1911, quando a vestire i panni del celebre personaggio nel balletto coreografato da Michel Fokine fu Vaslav Nijinskij.

Chukrum di Virgilio Sieni (foto di Rocco Casaluci)

Il lavoro coreografico di Sieni parte dal mito e dalla relazione tra marionetta e tragedia, discostandosi però dalla visione canonica con i tre personaggi – Petruška, la ballerina e il moro – più il Ciarlatano. La creazione del coreografo toscano è introdotta dal brano Chukrum, composto da Giacinto Scelsi nel 1963 con l’intento di porre al centro del linguaggio musicale il suono, inteso come elemento puro. Un’introduzione di circa venti minuti in cui i danzatori si muovono dietro un tulle. Di loro si vede ben poco se non i palmi delle mani che talvolta si appoggiano e premono sul tulle irradiato da una forte luce bianca quasi accecante. Qualcuno del pubblico alla fine ha detto di essersi sentito in Paradiso in quei venti minuti “trascendentali”, ma ad altri non è arrivata la stessa sensazione… forse dipendeva molto dal posto che si occupava in platea. Nella seconda parte dello spettacolo il tulle sparisce lasciando spazio ad altri grosssi veli sui lati del palco coi quali i danzatori interagiscono spesso. Non c’è un unico Petruška nel balletto di Sieni, i danzatori vivono una sorta di moltiplicazione e le molte anime di Petruška prendono vita sulla scena generando tante marionette che allo stesso tempo non lo sono, e che attraversano il mondo del fantastico e del reale con la gravità dei sentimenti e la leggerezza del passaggio.

Petruska (foto di Rocco Casaluci)

I sei danzatori si muovono come spinti da una pulsione interna quasi meccanica che evoca sì la marionetta, ma che va a sovrapporsi al movimento umano del performer dando così l’occasione di indagare uno spazio liminale, ovvero al livello della soglia della coscienza, che in sostanza sta alla base della vita dalla creazione artistica. Sono sei malinconici personaggi vestiti di organza, diversi gli uni dagli altri, ma accomunati da una tenue e nostalgica impalpabilità. I volti sono nascosti da maschere in tessuto sulle quali è stato dipinto un pesante trucco, oramai dopo le varie replice consumato e slavato dal sudore, e che sembra conferire ad ognuno un voluto vissuto tragico.

Petruska (foto di Rocco Casaluci)

La storia del burattino nella visione di Sieni acquista un’esponenziale moltiplicazioni di piani e prospettive. I sei performer aiutati dai veli in scena replicano l’estetica di Chukrum, ma giocano allo scoperto pilotati da un’esigenza quasi primaria e primordiale. I danzatori sono al contempo folla e Ballerina, Moro e Ciarlatano, non ci sono protagonisti e comprimari nella danza di Sieni, l’ensemble agisce traducendo la vicenda nonostante l’assenza di ruoli prestabiliti, mantenendo equilibrio tra azioni corali e assoli.

Si arriva così alla conclusione sospesa come le quattro note pizzicate degli archi che chiudono la partitura.

Francesca Camponero

[In alto, Petruska (foto di Rocco Casaluci)]

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